Omelia del pellegrinaggio dell’Ascensione, presieduto da Mons. Gilbert Louis, vescovo emerito di Chalon en Champagne e sacerdote della diocesi di Séez.
A volte canticchio, pensando a un amico che non c’è più, questa canzone di Gilbert Bécaud: “Com’è pesante sopportare l’assenza di un amico, l’amico che, ogni sera, è venuto a questo tavolo e che non verrà più, è miserabile la morte che ti trafigge il cuore e ti decostruisce”. Assenza di un amico… Gesù aveva avvertito i discepoli dell’imminenza della sua partenza. Non solo li aveva avvertiti, ma aveva aggiunto: “È un bene per voi che me ne vada”. Come aveva potuto Gesù agire in questo modo?
“Non ci piacciono le rotture, che si tratti di un lutto, di una separazione brutale…”
Nell’esperienza umana di ogni persona, resistiamo all’idea di poter trarre beneficio dalla partenza di una persona che amavamo teneramente. In generale, non apprezziamo le rotture, che si tratti di un lutto, di una separazione improvvisa, di un cambiamento radicale di situazione. Ogni rottura comporta qualcosa di doloroso; È un test. Le rotture possono anche portare a sensi di colpa se non siamo riusciti a fare tutto ciò che avremmo potuto fare o a sperimentare ciò che avremmo voluto sperimentare di nuovo! E a volte, le separazioni non possono non lasciare ferite profonde dentro di noi.
Se questa è la nostra esperienza alla partenza di un parente, di un amico, abbiamo il diritto di chiederci: che cosa è successo ai discepoli quando Gesù è asceso in cielo, sfuggendo definitivamente al loro sguardo? Il minimo che possiamo dire è che, all’inizio, erano sconcertati. Lo si vede chiaramente nel racconto degli Atti degli Apostoli che è stato letto. Ci vogliono due inviati vestiti di bianco per richiamarli vigorosamente perché comincino a reagire: “Galilei, perché state qui a guardare il cielo?” La sfida è vigorosa, anche se è addolcita da una promessa: “Gesù, che è stato assunto di mezzo a voi, ritornerà come l’avete visto andare in cielo”. Nel frattempo, l’Ascensione, che segna il ritorno di Gesù nel seno del Padre, pone definitivamente fine alla presenza fisica di Gesù in mezzo ai suoi. Egli si rende invisibile al loro sguardo.
“Rinunciare a un Gesù che pensavano di conoscere”
Per gli apostoli è prima di tutto uno strappo, con la fine dei loro sogni e delle loro speranze umane. L’Ascensione diventa per loro un invito a lasciare andare un Gesù che credevano di conoscere, come lo è anche per noi, quando molto spesso pensiamo di conoscerlo o di adagiarci sugli allori senza cercare di conoscerlo più, di incontrarlo intimamente per scoprire la bellezza del suo volto o di intuire la sua dolce presenza nella quotidianità stessa della nostra vita. Ora, nell’Ascensione, Gesù si rivela ai suoi discepoli, non fisso nel passato, ma davanti a loro, come è sempre davanti a noi, come il capo della cordata, al di là delle rappresentazioni che abbiamo di Lui. Seguendo gli apostoli, dobbiamo accettare la perdita di Gesù, vista con i nostri occhi di carne, per riceverlo per quello che è veramente, il Signore dei vivi e dei morti.
Uscito da colui che Egli chiama Padre suo, ritorna a Lui, pur rimanendo in noi, in mezzo a noi, ma in modo del tutto nuovo. Egli rimane presente a noi attraverso il suo Spirito, continuando ad accompagnarci con il suo amore, fedele alla sua promessa: “Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo!”
La festa dell’Ascensione getta nuova luce sulla persona di Gesù e sul nostro rapporto personale con Lui
E nello stesso movimento, l’Ascensione mette in luce la missione che egli affida ai suoi apostoli e, diciamolo, la missione che affida alla sua Chiesa come ad ogni cristiano. La sparizione fisica di Gesù nel giorno dell’Ascensione, paradossalmente, ha reso possibile la vita e la testimonianza della Chiesa per venti secoli. Egli ha dovuto farsi da parte perché nascesse la Chiesa e noi potessimo diventare responsabili di rivelarlo al mondo. Lasciandoci campo aperto, non cessa di rimandarci nel mondo, nella Galilea delle nazioni, perché le diamo un volto e un corpo.
Al movimento verticale usato per descrivere la partenza di Gesù corrisponde al movimento “orizzontale” dei discepoli inviati fino ai confini della terra. Cristo ha cessato di rendersi visibile sulla terra per essere visibile attraverso la testimonianza dei suoi discepoli nella potenza dello Spirito Santo. Gesù doveva farsi da parte perché la vita e la testimonianza della Chiesa fossero rese possibili. La sua assenza fisica ha permesso non solo la scrittura dei Vangeli che ci trasmettono il suo messaggio, ma l’emergere di tutte le parole di vita e di tutte quelle testimonianze di amore che i discepoli di Gesù, sparsi su tutte le strade del mondo, fanno vivere giorno dopo giorno. Sta a noi essere il volto, le orecchie, la bocca e le mani del Signore.
“Cristo non ha altro corpo sulla terra che il vostro”
Santa Teresa d’Avila amava dire: “Cristo non ha altro corpo sulla terra che il vostro, né altre mani che le vostre, né altri piedi che i vostri. È attraverso i vostri occhi che si esprime la compassione di Cristo per il mondo, attraverso i vostri piedi che Egli va a fare il bene, attraverso le vostre mani che oggi benedirà l’umanità”.
Che questa festa dell’Ascensione, fratelli e sorelle, ci inviti a lasciare andare un Cristo forse ancora troppo carnale, che sarebbe solo il prodotto dei nostri sogni, della nostra immaginazione o la giustificazione delle nostre idee e pratiche. Non è forse questa l’invito di Gesù a Maria Maddalena la mattina di Pasqua: “Non trattenermi! va’ a dire ai miei fratelli che io salgo al Padre mio che è vostro Padre, al mio Dio che è il vostro Dio.”.
« Non trattenermi»
Tutto si riassume in queste parole di Gesù a Maria Maddalena. Troviamo in esse l’invito a vivere un rapporto corretto con Gesù che non ci permette di porre le mani su di lui: “non trattenermi”, e nello stesso movimento riceviamo la responsabilità di rivelare con tutta la vita il sapore della sua presenza e del suo agire in noi: “Va’ a dire ai miei fratelli”.