Omelia di Mons. Dominique Rey ai padri di famiglia a Montligeon

Durante il pellegrinaggio dei padri di famiglia a Montligeon, il 6 luglio 2025, Mons. Dominique Rey ha invitato i partecipanti a meditare sul cammino della fede come itinerario di conversione, umiltà e perseveranza. “Affrontando le paure e le minacce, resistendo alla facilità, non cedendo né al fatalismo, né alla passività, né alla fuga in avanti, questo è il tema del pellegrinaggio di quest’anno: ‘abbi fiducia, Dio ti chiama’.”

Durante questo pellegrinaggio a Montligeon, percorrendo strade e sentieri sotto un calore talvolta opprimente, avete mobilitato i vostri corpi per affrontare la fatica, avete pregato per offrire a Dio le vostre gioie e le vostre prove. Avete affidato al Signore il passato che spesso ci appesantisce, il presente che a volte facciamo fatica a digerire e ad affrontare, il futuro che può sfuggire o oscurarsi.

La fede ci raggiunge dal basso e verso l’alto. Dal basso, a partire dalle nostre radici personali (dal giorno del nostro battesimo).

La fede si esprime anche dall’alto, come un invito a superare se stessi. Un pellegrinaggio rappresenta così un’opportunità per ritrovare un ideale, un nuovo respiro. Mobilitati dalla ricerca narcisistica del comfort, assorbiti dalla routine quotidiana, facciamo fatica a dare intensità, densità, alla nostra vita, a respirare l’aria pura delle cime. Le nostre anime vegetano, travolte dal vortice dell’azione, assorbite dalla superficialità. Rimangono così spesso incolte.

Cristo viene incontro a noi per aprirci l’accesso alla patria del Cielo. Ci guida giorno dopo giorno, lungo il sentiero ripido e scosceso (a volte via Crucis) che ci conduce a Dio.

Il cammino verso Dio si scopre camminando umilmente dietro Cristo. Un percorso fatto di ripensamenti, di cambiamenti di direzione. Ad esempio, su invito di Dio, san Giuseppe fugge precipitosamente in Egitto con la Santa Famiglia. Poi ritorna in Israele per ordine dell’angelo Gabriele; poi risale a Betlemme per farsi censire. Eccolo, di nuovo sulla strada per Gerusalemme per la presentazione al Tempio di Gesù al momento della sua circoncisione. Ci tornerà in occasione del ritrovamento.

Questa continuità itinerante inscrive Giuseppe nella scia di tutti quei pellegrini che hanno segnato la storia della salvezza; dall’esilio di Adamo cacciato fuori dal giardino dell’Eden; fino ad Abramo che lascia il suo paese e la sua parentela verso una terra sconosciuta, fino a Mosè che conduce per 40 anni il popolo ebraico in esodo nel deserto. Il pellegrinaggio è anche un prototipo e un emblema della nostra stessa strada, della strada della Chiesa con il Signore e verso il Signore, quella strada che è anche per noi, seguendo Cristo, una salita verso la Gerusalemme celeste.

Pellegrinare significa appoggiarsi su terreni che saranno solo di passaggio per superarli continuamente, poiché non sono che trampolini, piste di decollo, e non dimore. Posare il piede ovunque, senza riposarsi da nessuna parte. Penso a quel momento della Trasfigurazione in cui Pietro voleva fissare per sempre la presenza di Gesù apparso in gloria, « costruiamo qui tre tende », suggerirà a Gesù. I Vangeli annotano allora seccamente: « Non sapeva quello che diceva » (Lc 9,33).

La fede traccia un movimento. Si perverte non appena si ferma, non appena si ritrae, come il fiume che diventa palude non appena ristagna.

Il dramma di ogni idolatria risiede in quest’errore di fissare la presenza di Dio per sfuggire all’incertezza del domani e alla tensione verso il futuro a cui la vita ci invita. La nostra tentazione sarà quindi quella di fissare, di catturare l’immagine di Dio in oggetti sacri, impressioni soggettive; come gli Ebrei nel deserto che volevano rappresentare Dio, il cui volto non vedevano, con un vitello d’oro, un animale domestico che si può guidare a piacimento. Si può raggiungere Dio solo nel movimento attraverso il quale Egli si dà; attraverso il quale Egli ci trascina altrove, sempre più lontano. La Bibbia di Chouraqui (senza connotazione politica) traduce le “Beatitudini” con “in cammino”.

Per essere vivo, l’uomo ha bisogno del pellegrino che è in lui. Deve sempre avvenire, consentire a spostamenti interiori. “La fede è la disposizione a lasciarsi trasformare”, diceva Papa Francesco. Deve mettersi in cammino, lasciare dietro di sé ciò che gli è familiare e acquisito. Altrimenti si intorpidisce interiormente. No, non possediamo Dio. Ma andiamo incessantemente al suo incontro. La nostra vocazione è sempre davanti a noi.

Cristo è sia in noi, sia con noi. Ci accompagna. Cammina al nostro fianco, come con i pellegrini di Emmaus; e Gesù si trova anche davanti a noi, ci precede. Ci chiama al di là di noi stessi.

Questa camminata verso Montligeon che avete vissuto in un clima di raccoglimento, di conversione e di fraternità rappresenta quindi una parabola eloquente della fede che passa per i piedi, ma che ci eleva verso i Cieli. Il contatto con il suolo a volte arido, il confronto con i nostri stessi limiti fisici… ci riportano al mistero dell’Incarnazione. La fede non è mai disincarnata. Deve radicarsi nella realtà della nostra esistenza, nel nostro modo di essere quotidianamente, fino nelle nostre fragilità. Essa suscita un’arte di vivere come cristiani in questo mondo che non è più cristiano. La fede costituisce una base, un punto di appoggio per andare fino a Dio. Un’ascensione il cui motore è la resurrezione di Cristo, attualizzata ad ogni messa.

Da un lato la fede radica e dall’altro, trasporta. Trasporta a partire da un ideale che, per l’azione dello Spirito Santo, eleva, solleva, mobilita l’esistenza verso il vero, il buono, il bello. Questo ideale non è affatto una proiezione di sé, ma un’avventura che trae la sua origine in Dio e si definisce attraverso la carità. La fede ci invita a ‘passare sull’altra riva’ uscendo da noi stessi e dalle nostre finzioni e frustrazioni. Né l’apatia, né l’utopia possono nutrire la nostra vita.

Portare stabilmente un ideale così maturo, non per l’esaltazione di sé ma per il bene dell’altro, richiede 3 atteggiamenti:

1 – Innanzitutto una forte volontà

La nostra felicità dipende dalla nostra capacità di metterci in cammino e di impegnarci con passo deciso. Non è possibile diventare un uomo, un marito, un padre, impegnarci a migliorarci, canalizzare la nostra energia, senza la chiara decisione di prendere in mano la nostra vita. Per andare dove ci conduce il cuore, è necessario “lasciare i nostri divani e indossare gli scarpini”, come diceva Papa Francesco. Affrontando paure e minacce, resistendo alla facilità, non cedendo né al fatalismo, né alla passività, né alla fuga in avanti, questo è il tema del pellegrinaggio di quest’anno “abbi fiducia, Dio ti chiama”.

I nostri contemporanei privilegiano spesso il cocooning, la gratificazione, la protezione. Consumiamo in modo compulsivo emozioni in cerca di essere continuamente accuditi e castrati. In un discorso alla gioventù, il generale Mac Arthur diceva nel 1945 « Si diventa vecchi perché si è abbandonato il proprio ideale. Gli anni rugano la pelle; rinunciare al proprio ideale riempie di rughe l’anima ».

Cari pellegrini, non siate solo gestori ma anche visionari.

Se si vuole dimostrare abnegazione, è richiesto coraggio. Coraggio di cui parla la Scrittura negli indirizzi di Dio al suo popolo «Coraggio, siate forti» (Dt 31,6), «Coraggio, o mio popolo» (Bar 4,5), e che Gesù riprende nel Vangelo «Coraggio, ho vinto il mondo» (Gv 16).

Charles de Montalembert scriveva già nel 19° secolo « Quello che manca ai cristiani è il coraggio ». « Questo coraggio di avere paura » di cui parlava padre Moulinié seguendo Cristo nell’agonia che attraversa la morte. Per persistere nei nostri sforzi fino a quando non daranno frutti, è necessaria la perseveranza. Come ricorda l’apostolo Paolo, nella terza lettura, nel suo indirizzo ai Galati, « La Croce di Cristo rimane il mio unico vanto ». Non cadiamo nella disperazione che può condurre alla violenza, una violenza talvolta incandescente, come testimonia l’attualità. San Bernardo diceva che la perseveranza è la forza dei forti e la coronazione della volontà, a condizione che non sia presuntuosa rispetto alle nostre capacità.

2 – Per arrivare fino in fondo a se stessi, è necessario circondarci di grandezza, frequentare e affiancarci a figure esemplari che incarnano questo coraggio, questo carattere forte. Le persone animate da una passione, una visione, sono coinvolgenti. La vita dei Santi lo testimonia. È la grandezza che ispira la grandezza. I santi, gli eroi del passato, questi testimoni tutelari, forse nel nostro entourage, nelle nostre famiglie, i nostri genitori, che abbiamo potuto frequentare, ci elevano verso l’alto, verso il meglio di noi stessi, per dar vita a noi stessi. È opportuno lasciarci impregnare da loro, ispirarci a loro, non per mimetismo ripetendo identicamente, ma per avanzare a partire dalla nostra creatività. La vera grandezza si dispiega attraverso l’umiltà, il sacrificio di sé e la carità. Come diceva Madre Teresa: ‘Non lasciate mai che qualcuno si avvicini a voi senza andarsene migliore o più felice’.

3 – Infine, ogni cammino di fede richiede una giusta conoscenza di se stessi. Il precetto scolpito nel tempio di Delfi “Conosci te stesso” deve interpellarci. Non possiamo rimanere estranei a noi stessi. Il filosofo Seneca consigliava ai suoi discepoli di porsi tre domande: “Oggi, di quale difetto mi sono corretto? Quale vizio ho combattuto? Quale progresso ho realizzato?”

Si tratta di andare nei dettagli, esaminare le motivazioni profonde delle nostre azioni per conoscere la vera causa dei nostri fallimenti o delle nostre vittorie, accettando ogni volta di mettere in discussione noi stessi.

Come potremmo crescere in unità di vita, in esemplarità, in coerenza interiore se, alla luce del Vangelo, non ci sottoponiamo a questo esame di coscienza, a questo esercizio di rilettura, di memoria e di discernimento che consiste nel confrontare la nostra esistenza e le nostre convinzioni all’appello del Signore.

Per dedicarsi a questo esercizio e senza cadere in un’introspezione narcisistica, non dimentichiamo mai che l’altro è il miglior modo per conoscere se stessi, nella verità e con precisione. Questa è la grazia del matrimonio e la forza di una vita fraterna. È a partire da questa conoscenza di sé che dobbiamo prendere le risoluzioni per aggiustare e affinare il nostro comportamento, diventare padroni di noi stessi, assumere la nostra vocazione e rendere fecondi i nostri impegni. Altrimenti si resta intrappolati e si calpestano le proprie abitudini, e non si riesce mai a diventare se stessi in un contesto mediatico in cui predominano modelli ai quali la buona creanza ci spinge a conformarci e identificarsi?

Cari pellegrini, il vostro cammino non si conclude a Montligeon. Vi riporta verso i vostri, vostra moglie, i vostri figli, per portarli a loro volta sulle tracce di Cristo, sul cammino della vera felicità. Questa felicità l’uomo non può darsela da solo, la riceve da Dio. Felicità che si trova solo camminando dietro a Cristo e diventando per il nostro mondo profeti di speranza, coraggiosi e fedeli.

+ Dominique Rey

Santuario di Montligeon

6 luglio 2025

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