Dobbiamo avere paura della morte ?

Faut-il avoir peur de la mort ? Sommes-nous tous concernés ? Le transhumanisme peut-il nous en soulager ? Autant de questions auxquelles répond don Thomas Lapenne dans l’émission Sanctuaires normands sur RCF.

«La morte ha una cattiva reputazione, scrive il filosofo Robert Redecker, in L’eclissi della morte. Solo pochi mistici e pochi disperati l’ aspettano con impazienza. Gli altri uomini fuggono da lei, cercando di evitarla il più possibile, di ritardare il momento di lasciarsi prendere da lei.» Dobbiamo avere paura della morte? Siamo tutti nella stessa situazione? Può il transumanesimo sollevarci da tutto questo? A tante domande risponde Don Thomas Lapenne nella trasmissione Sanctuaires normands (Santuari normanni) su RCF 

Don Thomas Lapenne per RCF/Sanctuaires normands

Siamo tutti preoccupati dalla paura della morte ?

Tutti gli esseri umani sono preoccupati dalla fine della loro vita sulla terra. Hanno paura della morte perché si proiettano nel futuro. Ad esempio, immaginano un declino fisico, una separazione emotiva dai propri cari o una dislocazione spirituale tra l’anima e il corpo. È davvero motivo di sofferenza e di apprensione, di paura, per alcuni addirittura di angoscia.

Temiamo la morte perché è un male che ci minaccia. Sappiamo che ci accadrà, perché fa parte della nostra condizione umana. Dalla caduta del primo uomo, Adamo – che aveva ricevuto il privilegio dell’immortalità – tutti gli uomini sono morti. Questa è infatti una delle conseguenze del peccato originale. Gli uomini affrontano questa morte innanzitutto sotto forma di paura. Perché è un vero male che distrugge, una sofferenza che separa innanzitutto da me stesso. E poi dai miei cari che vivranno a loro volta questo dramma della separazione.

Questa paura della morte si prova a tutte le età della vita?

La sperimentiamo a tutte le età, esprimendola in modi diversi. Il bambino, ad esempio, ha poca esperienza della vita e della morte, ma quando perde il suo pesciolino rosso o il suo gattino, sperimenta una separazione per sempre. Naturalmente, inizialmente potrebbe immaginare che il suo animale preferito tornerà domani. Ma comunque sa qualcosa della tragedia della morte.

L’adulto che ha costruito relazioni, investito, amato e donato se stesso è più consapevole della finitezza della sua vita. Sperimenta paure, che non si manifestano necessariamente a proposito della morte. Ma piuttosto di fronte ai distacchi che deve sperimentare, ad esempio tradimenti, abbandoni, solitudini. Tutto questo finisce per confluire nella paura di restare soli, abbandonati – morte sociale -, o nelle relazioni umane – morte affettiva -.

Tutti noi proviamo paure; dobbiamo esserne consapevoli ed essere in grado di potere dare loro un nome. Lo abbiamo visto di recente con la crisi sanitaria dovuta al Covid. Abbiamo sperimentato la paura del contagio, della sofferenza, di trasmettere questa malattia ai più vulnerabili, ecc. Tutte queste paure si combinano in noi con questa paura fondamentale, arcaica e profonda della morte.

Questa paura aumenta con l’avanzare dell’età, visto che il termine si avvicina?

Dipende dal cammino umano e spirituale delle persone. Coloro che non hanno mai considerato la morte e che un giorno subiscono una malattia, una disabilità, un incidente, possono vedere la loro prospettiva di vita completamente capovolta. Altri, al contrario, che si sono preparati a questa scadenza, forse la affronteranno con più calma. Accoglieranno con lucidità il fatto che stanno avanzando in età ma anche in saggezza. E capiranno che i loro giorni sono contati.

Esiste un lato positivo della paura della morte?

Questa paura ci spinge a sperare o a cercare ragioni per vivere. Poiché la morte pone fine al nostro pellegrinaggio sulla terra, rende ogni momento unico. Ella ci mostra la ricchezza che questi momenti possono avere se sono vissuti nell’amore, nella riconciliazione, nell’avventura, nel dono di sé nella gioia. Sapendo che un giorno questi si fermeranno, posso gustarli, assaporarli.

La morte dà valore a ciò che ho vissuto. Si dice anche che è nella morte che si discerne il valore di una persona. «Prima della fine non chiamare nessuno beato; un uomo si conosce veramente alla fine.», dice il Siracide (11, 28). Mette fine alla vita, ma le dà anche un sigillo definitivo, una sorta di timbro di autenticità.

Non si rischia di mettere troppa pressione, quando si vuol dare un valore unico a ciascun momento della propria vita?

Soprattutto è un invito a prepararsi alla morte. La morte è una separazione da coloro che amiamo. È anche una separazione tra l’anima e il corpo – una specie di dislocazione ma non di scomparsa. Ma è anche un passaggio e non uno stato. Quando muoio, non cado in un abisso senza fondo, negli inferi come si pensava una volta, in un luogo buio e freddo. Passo in un’altra vita: “Non muoio, entro nella Vita” (Santa Teresa).

È anche un incontro con Colui che è il mio Signore e il mio Creatore. Incontrerò Cristo e la Vergine Maria (che è qui adesso e nell’ora della mia morte), San Giuseppe – patrono della buona morte -, il mio angelo custode, il mio santo patrono ecc. Questa prospettiva di incontri e di meraviglia può nutrire il nostro modo di vivere oggi questa paura della morte. Non possiamo cancellarla, perché sarà sempre con noi. Ma possiamo domarla e incanalarla verso la speranza di vivere con Cristo. La morte è il legame tra la mia vita sulla terra e la mia vita in cielo, quindi tra due vite in definitiva.

Non siamo né supereroi Marvel né animali che non si rendono conto di ciò che sta accadendo loro. Ma siamo esseri umani fatti di carne, di cuore, di sentimenti e anche di anima. Quest’anima ha un desiderio di vita che si realizzerà in Cristo, per coloro che lo hanno scelto, e nella risurrezione che attendiamo come oggetto della nostra speranza.

Le tecniche attuali che cercano di prolungare la nostra vita (transumanesimo, ad esempio) danno sollievo a questa paura viscerale?

Il transumanesimo è una risposta tecnica, materialista o biologica a carenze legate all’età o alla malattia. Posso sostituire uno degli elementi del corpo (il fegato, il cuore per esempio), ma questo non sostituisce né la mia umanità, né la mia consapevolezza di essere finito, mortale. Il dolore fisico e forse la sofferenza psicologica possono essere alleviati, ma la tecnica non può rispondere ai desideri più profondi del cuore umano, che sono più spirituali.

Nessuno vuole una vita perpetua sulla terra. Sarebbe molto noioso. Alcuni immaginano anche il cielo come una vita che ricomincia costantemente da capo. Al contrario, è una vita nuova con relazioni forti di amore, verità, giustizia, pace, luce. Se mi chiedessero di scegliere tra una lunga vita ottenuta attraverso il transumanesimo e la vita eterna, opterei senza esitazione per la vita eterna!

Che paura della morte prova una persona che no crede in Dio o lo rifiuta?

Essa è purtroppo priva dell’aiuto che possono offrire la grazia o l’insegnamento della Chiesa sulla vita dopo la morte come incontro con Dio. Quindi non ha questa visione di speranza. Ma il Signore, che ama ogni uomo e vuole la salvezza di ogni uomo, prepara anche questa persona ad incontrare Cristo e all’ingresso nella vita eterna. Le verrà incontro anche se lei non lo ha conosciuto sulla terra o se lo ha rifiutato a causa di false rappresentazioni o a causa delle ferite della vita.

Fotse ha rifiutato Cristo, ma lo rifiuterà quando si troverà faccia a faccia con Lui? È il mistero della libertà e insieme della nostra speranza. Tocca a noi cristiani pregare per coloro che non hanno avuto la possibilità di conoscere Cristo e di seguirlo. Preghiamo affinché possano dirgli “sì” nel momento del giudizio particolare.

Un consiglio per aiutare a sopportare questa paura nella quotidianità ?

Possiamo prima intraprendere azioni di speranza in ciò che Cristo ci ha promesso. Egli, infatti, nella sua risurrezione, viene a liberarci dalla schiavitù della paura della morte (Eb 2,15). Invece di rimanere paralizzati da questa paura, Cristo ci apre la prospettiva inimmaginabile di una straordinaria vita d’amore.

Possiamo ovviamente continuare anche a donarci, ad amare. Quindi sarà l’amore ad avere l’ultima parola e non la morte. L’amore vincerà.

Un altro mezzo sperimentato da Don Bosco con i suoi giovani protettori: vivere ogni mese “il giorno della buona morte”. Si tratta di immaginare che la nostra vita finirà quella sera stessa, e quindi vivere questa giornata di conseguenza. Questo ci permette di mettere in prospettiva molte cose, di mettere in prospettiva piccoli problemi e poi di ricordare lo scopo ultimo della nostra vita. Se Cristo mi chiama stasera per entrare nell’eternità con Lui, sono pronto a dirgli: “Sì, vengo! » ?

Infine possiamo pregare San Giuseppe o la Madonna della Buona Morte per prepararci al momento importante dell’incontro. Sarà quello dell’abbandono nelle mani del Signore. Queste preghiere ci aiutano a prepararci bene adesso, non in modo triste o morboso, ma in modo realistico.

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