La fine vita in questione. Erwan Le Morhedec è avvocato e blogger con lo psudonimo Koztoujours. E’ autore di una supplica documentata contro la legalizzazione dell’eutanasia : Fin de vie en République – avant d’éteindre la lumière (Cerf) (Fine vita nella Repubblica – Prima di spegnere la luce). Eutanasia, orte, sofferenza, sedazione, dignità… egli evoca la fine vita per Chemin d’éternité, la rivista del Santuario di Montligeon.
Perché un libro sull’eutanasia ?
Il mio interesse per la questione è sorto quando avevo venticinque anni, dalle conversazioni con una amica infermiera specializzata in cure palliative, in un momento in cui la domanda sulla morte occupava i miei pensieri. All’epoca questo tipo di servizio medico non esisteva praticamente in Francia.
Spontaneamente, sono contrario al fatto che si possa togliere la vita a qualcuno. Ma questo non può ridursi a sostenere di essere contro l’eutanasia, di fronte a qualcuno che soffre. Non ci si può accontentare di principi, bisogna stare nella realtà e nella concretezza. Dunque per poterne parlare ho frequentato associazioni, letto testimonianze, avuto molti scambi, e mi sono recato in una unità di cure palliative.
L’urgenza della scrittura di questo libro è nata anche dal dibattito parlamentare del 2021 che ha quasi legalizzato l’eutanasia in condizioni che io ritenevo catastrofiche. Inizialmente, la proposta di legge prevedeva una commissione che « poteva » semplicemente (era opzionale!) trasmettere i dossier al procuratore in caso di dubbio sul rispetto delle condizioni, mentre questo poteva essere un sospetto di assassinio!
Poi, il lasso di tempo previsto tra la domanda e l’atto era ridicolmente breve, perfino quando non si trattava di prognosi pericolosa per la vita. Allora si poteva praticare l’eutanasia per depressione in un tempo variabile da 4 a 6 giorni! Sono stato pervaso da un profondo malessere all’idea di svegliarmi un giorno in un Paese che avrebbe legittimato questa situazione senza che io avessi detto nulla. Sono convinto che i Francesi ignorano largamente questi aspetti e che una buona parte dei deputati che hanno votato a favore di questa proposta (con una maggioranza piuttosto ampia) non ne misurino le conseguenze. Si accontentano di celebrare “un marcatore sociale”.
L’attrazione per l’eutanasia non è un rifiuto del dolore?
La questione si porrebbe in modo diverso se noi non avessimo modo di prendercene carico. Il solo vero combattimento da condurre qui è quello della generalizzazione delle cure palliative. La maggior parte del tempo, esse offrono sollievo alla maggior parte dei dolori. In uno studio realizzato su 2600 pazienti, la loro richiesta di eutanasia è sparita nel 90% dei casi in pochi giorni, quando il dolore è stato affrontato correttamente. Un medico belga specializzato in cure palliative me lo ha confermato.
Certo, restano domande di tipo « filosofico » comprensibili (essere padroni della propria vita, rifiutare l’essere spossessati del proprio corpo o la dipendenza…). In queste unità di cura si pratica una presa in carico integrale della persona con i suoi dolori fisici e psichici (anche se l’angoscia non sparisce) in modo quasi amicale. Marie de Hennezel[1] cita una persona che ha scoperto in fine vita « che la bontà esiste ». Questo va oltre la presa in carico medica.
[1] Marie de Hennezel è psicologa e specialista sul fine vita, autrice in particolare di La mort intime (1992) e di Vivre avec l’invisible (2022).
Ci si può far carico di tutti i dolori? La sedazione stessa non costituisce una « autorizzazione di uccidere » ?
Il problema, in caso di dolori forti, è arrivare all’equilibrio tra dolori sopportabile e coscienza. Ho appreso che è possibile fare delle sedazioni parziali per delle cure dolorose o per permettere di essere coscienti in occasione della visita dei propri cari…
Il rischio inerente all’utilizzazione di prodotti a base di morfina non è una eutanasia. Giuridicamente, l’intenzione dell’atto è essenziale. Non è un dettaglio e la Chiesa l’ha riconosciuto da molto tempo. Così Pio XII nel 1957 in un discorso ai dispensatori di cure, faceva la differenza tra gli antidolorifici dati per dar sollievo e quelli dati per uccidere. Questo confine è tenue ma essenziale. Soprattutto per i caregiver che potrebbero essere emotivamente impegnati con qualcuno cui dovranno togliere la vita in caso di eutanasia. Alcuni hanno concluso l’intervista in lacrime.
L’eutanasia priva di tappe importanti nel processo del “morire” ?
Mi sono imbattuto nel termine “travaglio della morte” nelle mie letture. Mi ha fatto pensare alla “stanza del travaglio” del parto, all’altra estremità della vita. Questo travaglio è forse l’ultimo tentativo per mettersi completamente al mondo, per chiudere il cerchio. In fin di vita, siete costretti ad abbandonarvi e ad essere completamente nella relazione. Questo a volte permette degli atti impossibili quando eravate padroni di voi stessi, come riconciliazioni, trasmissioni, perdoni…
Ciò che poi si vive è bello per chi se ne va, come per chi rimane (spesso il grande dimenticato dei nostri dibattiti). Dobbiamo sempre lasciare la possibilità che ciò accada. Perché è una risorsa per la vita futura dei propri cari. L’energia necessaria per preparare una partenza volontaria, il desiderio di controllo assoluto possono farvi perdere questi appuntamenti. Per non parlare della colpa di coloro che rimangono (per aver rifiutato di dare la morte o al contrario per aver ceduto ad essa).
Che cosa dire a una persona anziana in fin di vita « che non vuole pesare» su quelli che ama?
Questa deve essere probabilmente la frase che i caregiver e le persone care sentono di più. Proprio come gli esempi di bambini che protestano volendo prendersi cura dei loro genitori… Una persona anziana non dovrebbe dimenticare che il semplice fatto di amare il proprio non è inutile. Deve anche accettare di immaginare che i suoi figli vogliano aiutarla. Penso che alcuni genitori non sospettino le risorse che i loro figli possono avere nei loro confronti.
Nelle nostre richieste, dobbiamo anche agire come membri a pieno titolo della società. Il mio atto non è solo individuale. Se la mia richiesta di eutanasia sembra accettabile perché penso di aver vissuto bene (o troppo), allora legittimo un atto compiuto senza una prognosi di pericolo di vita e senza dolore. Ciò crea enormi rischi di pressione sulle persone fragili. Potrebbero rassegnarsi a un entourage che si lamenta con loro e crede che “questa non è vita”…
Parlare di libero atto e scelta personale è un modo molto disincarnato di vedere la fine della vita, mentre per molti questo periodo è quello dell’estrema vulnerabilità. E il ruolo di noi tutti è di proteggere i più vulnerabili.
Rivista Chemin d’Eternité n°311 –
Luglio-agosto 2022, in abbonamento o all’Accoglienza del Santuario