“Faremo un minuto di silenzio per Dio, nel caso in cui voglia parlarci”. È così che Daniel-Ange ricorda la sua prima preghiera in famiglia da bambino, davanti a un grano di incenso che si alzava verso il cielo. In questa intervista per la rivista Chemin d’Eternité n. 324, il 92enne fondatore di Jeunesse Lumière condivide il suo percorso di preghiera.
Una chiamata chiara a tredici anni
Tutta la mia vita è cambiata in un colpo solo, il 13 luglio 1946 alle 9.25 del mattino, quando avevo tredici anni. In una piccola cappella con il Santissimo Sacramento, sentii il Signore che mi chiamava con immensa forza e dolcezza allo stesso tempo a donargli tutta la mia vita, .
E ho accettato subito.
A diciassette anni sono entrato nel monastero di Clervaux, in Lussemburgo. Dopo alcuni anni di vita monastica, ho fondato una piccola comunità monastica, prima nelle Lande e poi in Ruanda, per dodici anni. Poi sono andato a vivere come eremita su una piccola isola del lago Kivu, al confine tra Congo e Ruanda.
Successivamente sono stato richiamato nella vecchia Europa. Ho continuato i miei studi di teologia a Friburgo con il grande teologo Cardinale Journet. Infine, quarant’anni fa, ho fondato la scuola di preghiera e meditazione Jeunesse-Lumière. Sono ancora uno studente. Questo, a grandi linee, è il mio itinerario.
Preghiera in famiglia: incenso e silenzio
Il mio primo ricordo di preghiera è stato quello della preghiera con la mia famiglia. All’epoca non frequentavo il collegio. Pregavamo insieme, in famiglia, con un gesto molto bello e significativo: per ogni intenzione di preghiera, mettevamo un granello di incenso su un piccolo tizzone acceso. Era molto bello per i bambini. Permetteva loro di vedere e visualizzare la preghiera che saliva al Signore.
E mio padre diceva regolarmente: “Facciamo un minuto di silenzio per Dio, nel caso in cui voglia parlarci”. Così ci prendevamo un minuto per ascoltare il Signore. Ed è così che il Signore ha colto l’occasione e mi ha chiamato a sé.
Questa prima esperienza infantile di preghiera è molto importante. In seguito, ovviamente, si è sviluppata molto quando ero monaco.
La liturgia: lo splendore della preghiera della Chiesa
Quando sono diventato monaco, la mia prima folgorante scoperta è stata lo splendore della liturgia. La grande liturgia. Le funzioni scandiscono l’intera giornata – e la notte – con canti e salmi che esprimono ogni possibile emozione umana. Gli ammirevoli inni cantati in canto gregoriano a Clervaux… è stato lì che ho scoperto tutta la ricchezza della lode, del ringraziamento e dell’intercessione in questa grande preghiera della Chiesa.
Direi che lo sapevo già prima di scoprire la preghiera personale e intima. È stata soprattutto la preghiera ecclesiale, che attraversa longitudini e latitudini, secoli e millenni, a formarmi.
Una fonte permanente che sussurra dentro di noi
Poi ho fatto una scoperta sconvolgente, che André Louf ha espresso molto bene: da quando sono stato battezzato, Gesù non ha mai smesso di pregare suo Padre. Lo loda, intercede, lo glorifica. La sua preghiera precede la mia. Quindi pregare significa andare alla fonte che sgorga nel profondo della mia anima, anche se non sempre la sento.
Mi piace usare due immagini per dirlo. Stai guidando lungo un torrente di montagna. Il motore soffoca il rumore dell’acqua. Ti fermi, spegni l’accensione, scendi: allora senti la musica del torrente. Ecco cos’è la preghiera: fermarsi, ascoltare la sorgente viva che mormora nel profondo del tuo cuore.
Un’altra immagine: quando mi preparavo per gli esami, mettevo su un brano di musica classica, come la Primavera di Vivaldi. Non lo ascoltavo continuamente, ma in certi momenti un passaggio mi fermava. Allo stesso modo, la preghiera di Gesù in me è continua, permanente, ma al mattino e alla sera, quando mi prendo del tempo per la preghiera, posso fermarmi e ascoltare: “Cosa sta dicendo Gesù a suo Padre, nel mio cuore? Questo ha illuminato la mia vita di preghiera.
Preghiera: sussurrare una parola d’amore
Per me tutto è iniziato con la preghiera di Gesù, conosciuta come preghiera del cuore, così popolare in Oriente fin dai tempi dei Padri del Deserto. La nota formula classica – “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore” – è troppo lunga perché io possa ripeterla in armonia con il mio respiro.
Quindi semplifico. Dico semplicemente il nome di Gesù. Oppure frasi molto brevi, non più di due o tre parole: “Gesù, mio amore”, “Gesù, mia gioia”, “Gesù, mia vita”, “Gesù, mia bellezza”, “Tu sei grande, Tu sei bello, Tu sei Dio misericordioso…”.
E le ripeto, cinquanta volte, cento volte, trecento volte. Non le conto. Per diversi minuti, ripeto questa semplice parola d’amore. È gratuita, è offerta. È il cuore che parla.
Intercessione elencando le intenzioni
La seconda parte del mio tempo di preghiera è l’intercessione. Qui faccio dei nomi. Gesù, famiglie. Gesù, giovani. Gesù, bambini. Gesù, persone divorziate. Gesù, Ucraina. Gesù, Russia. Gesù, Gaza… È una bellissima preghiera che può essere recitata ovunque: a piedi, in autobus, in metropolitana.
Inspirando: “Gesù”. Nell’espirazione: il nome di una persona, di un paese, di una situazione. Non ho bisogno di spiegare tutte le complessità politiche o umane: Lui lo sa. Lo sa meglio di me. Tutto ciò che devo fare è dire: “Gesù, Haiti”. È così che prego per le persone: “Gesù Vanessa, Gesù Isabelle…”. Lo ripeto forse un centinaio di volte. E a volte è come se qualcosa dentro di me dicesse: “Va bene, ci penso io, passa a qualcun altro”. Passa a qualcun altro. E io cambio. Posso anche pregare per le comunità: “Gesù Montligeon, Gesù Montligeon…”. E questo significa tutti i pellegrini di Montligeon.
La preghiera trinitaria: respirare nel Nome
Ho un modo di pregare che mi accompagna sempre. È sconcertantemente semplice, ma infinitamente profondo. Così semplice, così facile da dire. Ma l’apice di questa preghiera è quando preghi con il tuo respiro.
Quando inspiro, dico “Gesù” o “Yeshua”. E quando espiro: “Abbà, Padre”. Allora una gioia immensa mi assale. Non c’è bisogno di menzionare lo Spirito Santo: è lì, è il respiro stesso. Lo Spirito Santo è quel respiro invisibile, discreto e gioioso. È lui che unisce il Figlio al Padre e mi collega al loro amore.
Gesù. Abbà. Due nomi, due chiamate, un unico movimento. Entriamo nella pace, nella dolcezza e nella lode silenziosa. Si entra nel cuore stesso della Trinità. Ho provato: “Gesù, Spirito Santo, Padre”. Ma è troppo. Troppo complicato. Due nomi benedetti sono sufficienti: “Yeshua, Abbà”. Gesù, Padre. E questo dice tutto. Ti unisci a questa comunione di amore eterno. Sei a casa tra le braccia di Dio.
Offrire il Figlio, ricevere lo Spirito
A volte mi dilungo un po’. Dico: “Padre… Ti consegno Tuo Figlio… e Tu, dona il Tuo Spirito Santo!”. Ah, questo… questo mi sconvolge! È una preghiera molto semplice, molto spoglia, ma va al cuore di ciò che io chiamo – se così posso dire – i diversi “ministeri” delle tre Persone divine.
In altre parole: Padre, mi hai offerto tuo Figlio così tanto che ora posso consegnartelo. Te lo restituisco, te lo offro. E Tu, in cambio, mi dai il tuo Spirito. Un piccolo ricatto filiale, se posso dirlo con tenerezza… Ma un ricatto d’amore! Dona il tuo Spirito al mondo, al cosmo, all’umanità, alla Chiesa, alla mia famiglia, alla mia comunità… e anche a me. Questa preghiera – “Padre, ti do il tuo Figlio… e tu dammi il tuo Spirito Santo” – può essere recitata ovunque e in qualsiasi momento. In silenzio o a bassa voce, al ritmo del tuo respiro. Può essere imparata in un secondo e dà vita a un’intera vita.
Abbà: il segreto rivelato nel Getsemani
Pregare è molto semplice. Viene con il respiro, spontaneamente, senza sforzo. Il ritmo del respiro sostiene la preghiera, ma non ci penso nemmeno. È diventato naturale, come il battito del cuore.
Devo dire una parola su questo nome commovente: Abbà. Questa parola è un segreto d’amore che Gesù ci ha trasmesso solo nel Getsemani, nel cuore della sua agonia. Per la prima volta, osò dare agli apostoli – Pietro, Giacomo e Giovanni – questa parola di inimmaginabile tenerezza. Non avrebbe mai potuto pronunciarla in pubblico. Avrebbe scandalizzato la gente. Perché Abbà è il linguaggio di un bambino piccolo: “Papà caro, ti voglio bene”. È una parola di assoluta intimità, di puro affetto, come un bambino che parla al suo papà.
Gesù aspetta l’ultima ora, gli ultimi istanti, per darci questa parola. Come a dire che possiamo essere un piccolo bambino anche nell’agonia, anche nell’abbandono, anche nell’angoscia. Abbà, Abbà, Abba…Ed è per questo che Pietro disse a Marco, suo segretario e compagno: “Soprattutto scrivilo in aramaico, non tradurlo subito. Conserva la parola come l’ho sentita”. San Paolo fece lo stesso. Conserverà questa parola intatta, come una perla.
Due sillabe che salgono verso il cielo: Abba, Padre!
Mi ricorda un momento indimenticabile. La grande Giornata Mondiale della Gioventù del 1991 a Czestochowa. Oriente e Occidente insieme. Due milioni di giovani. E all’improvviso, un canto semplice e commovente: “Aaaaaaabbà…” Due sillabe che salgono verso il cielo. Tutti insieme. Poi ognuno, nella propria lingua, ha tradotto questa singola parola: Abbà, Père, Padre, Father… Un unico cuore, un’unica preghiera, un canto straordinario che ha toccato Giovanni Paolo II nel profondo. Era come se il mondo intero fosse diventato un unico bambino tra le braccia di Dio.
Abbà, papà carissimo
Eppure… sulla croce, poche ore dopo, Gesù non poté più dire Abbà. Poteva solo dire: “Dio mio, Dio mio…”. Perché? Perché poi scese nelle anime di tutti coloro che erano incapaci di dire “Papà” a Dio. L’ho visto nelle riunioni dei giovani. A Messa, leggo le parole del Padre Nostro da solo e chiedo a tutti di sussurrare dolcemente: “Papà… Papà carissimo…”. Ma non funziona mai. Tre quarti di loro scoppiano in lacrime. Molti battezzati oggi non riescono più a dire “Abbà”. Così Gesù lo dice per loro. Porta con sé tutti i cuori spezzati, tutti coloro che hanno esaurito le parole. Grida: “Dio mio, Dio mio, perché? E quel perché diventa una preghiera sublime.
Il grido: perché!
Oggi, pregare significa spesso gridare il nostro“perché”. Di fronte a tanta sofferenza, tanta ingiustizia, tanti orrori… queste sono vere preghiere. Non dobbiamo avere paura di gridare a Dio. Perché Gesù ha cristificato questa parola. L’ha vissuta. L’ha innalzata al Padre. Già all’età di dodici anni, nel Tempio, Gesù e Maria si scambiarono due perché. Maria disse: “Perché ci hai fatto questo? E Gesù risponde: “Perché mi stavate cercando? Due perché che si incrociano, già a Gerusalemme, già a Pasqua in corso. E Maria e Giuseppe non capiscono. Il Vangelo lo dice chiaramente: non capirono. Così anche noi dobbiamo accettare il fatto che capiremo solo in Paradiso. Ma nel frattempo… gridiamo a Dio. Perché? È una preghiera magnifica.
La preghiera di Charles de Foucauld
Ma Gesù non termina con un grido. Torna al Padre. Termina con queste parole: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”. E questa preghiera, così bella, è quella di Charles de Foucauld, che ripetiamo ogni sera alla Jeunesse Lumière, alla fine della Compieta:
Padre, mi abbandono a Te…
Fai di me ciò che vuoi…
Qualunque cosa tu faccia, ti ringrazio…
Tutti i cattolici dovrebbero conoscere questa preghiera a memoria. È la preghiera del Figlio, la preghiera dell’abbandono, del dono totale di sé, della nuda fiducia.
Lacrime, una preghiera silenziosa
E poi c’è un’altra forma di preghiera a cui non pensiamo abbastanza: le lacrime.
Tutte le nostre lacrime sono già passate attraverso gli occhi di Gesù. Egli piange. Piange davanti alla tomba di Lazzaro. La parola greca è molto forte, unica in tutta la Bibbia. Piange, letteralmente. Piange su Gerusalemme la Domenica delle Palme, lacrime grandi e calde, perché la Città Santa rifiuta l’amore.
Ci sono anche lacrime di gioia. Quando Gesù disse: “Ti ringrazio, Padre… perché nascondi questo ai sapienti e lo riveli ai piccoli”. Il Vangelo dice che esulta. Si potrebbe quasi dire che una corrente elettrica lo attraversava.
Le lacrime sono una preghiera immensa. Il Padre vede le lacrime di Gesù nei nostri occhi. E quelle di Maria, anche lei piange per il mondo. A La Salette, a Siracusa, ad Akita. Tante statue piangono. Non sono immagini, sono suppliche. Le lacrime sono un’Eucaristia. Salvano, tanto quanto il sangue.
E nella liturgia orientale, la goccia d’acqua versata nel calice deve essere calda. Bollente, se possibile. Il calice deve fumare! Perché non solo il vino e l’acqua, ma anche il sangue… e le lacrime di Cristo sono mescolati in esso.
Cosa diresti a un giovane che pensa che pregare sia una perdita di tempo?
Pregare è l’opposto di perdere tempo. Significa ravvivare il tempo, creare una connessione tra il momento presente e l’eternità. Quando nell’Ave Maria diciamo “adesso e nell’ora della nostra morte”, significa che stiamo facendo un collegamento immediato. Il passato non mi appartiene più. Il futuro è nelle mani di Dio.
Il momento presente – l’unico momento che mi appartiene.
E arriverà un momento in cui sarà il giorno della mia nascita in cielo, e quindi la preghiera che ci collega direttamente all’eternità. I tempi di preghiera sono tempi di eternità e non sono più schiavo del cronometro, anche se devo ancora rispettare l’ora, come quando esco per andare al lavoro.
Ma la preghiera può avvenire in ogni momento. Il semplice atto di nominare il nome di Gesù, “Gesù, Gesù, Gesù”, anche da soli in metropolitana o sull’autobus. Quindi non è affatto una perdita di tempo, anzi. Dà una dimensione divina a ogni momento presente.
La meraviglia
Esistono diverse forme di preghiera: l’adorazione, in cui posso pregare con il mio corpo sdraiandomi a faccia in giù per terra; la lode, se posso esprimerla alzando le mani al Signore, come dicono i salmi; e il ringraziamento, in cui benedico il Signore per la bellezza della sua creazione, per tutte le cose belle che accadono nel mondo, per tutti gli atti di carità divina che lo Spirito Santo compie ogni frazione di secondo, giorno e notte, in tutto il mondo. Tutto questo provoca la mia lode e la mia meraviglia.
All’improvviso, mi trovo di fronte all’alba sul massiccio del Monte Bianco e non posso far altro che esclamare: “Ah! È una preghiera. Ringrazio Dio per la bellezza della sua creazione, per tutti gli atti di carità, generosità e abnegazione che illuminano le tenebre come una costellazione di luce.
Intercessione
C’è anche l’intercessione. Gesù intercedeva: “Padre, che siano una cosa sola come noi siamo una cosa sola”, oppure “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Intercedeva. Come Mosè che, sul monte, teneva la mano di Dio in una mano e quella del suo popolo nell’altra. Sulla montagna, gridò a Dio a nome del suo popolo e, quando scese, gridò in nome di Dio al suo popolo. Questo dimostra il legame tra l’adorazione e l’evangelizzazione. Più intercediamo, più possiamo essere apostoli.
Quale preghiera è più vicina al tuo cuore?
Nessuna in particolare. Direi che Dio ha una grande facilità nel far coincidere tutte le forme di preghiera con il mio cuore. Ci sono momenti in cui sei più portato all’intercessione e altri in cui sei più portato alla lode liturgica. A Messa, tutto è mescolato insieme. All’inizio ci sono canti di lode, poi il Kyrie Eleison, che è un canto di intercessione, e poi torniamo al Gloria, che è di nuovo una lode.
Passiamo costantemente dall’uno all’altro, e questo lo troviamo nei salmi. È impressionante pensare che tutte queste parole siano state pronunciate dalle labbra stesse di Gesù, Maria e tutti i santi. È straordinario. Oggi posso pregare con le stesse parole con cui Gesù ha parlato a suo Padre. Queste parole, queste preghiere sono divinizzate, cristificate. È travolgente.
La preghiera è un respiro
Alla fine, la preghiera è come respirare. Non si può vivere senza respirare. Quando smetti di respirare per un po’, normalmente muori. Quando anneghi, muori per asfissia. Gesù morirà asfissiato sulla croce, perché tutti noi siamo asfittici. Non respiriamo nel respiro, nella lode dello Spirito Santo.
In un certo senso, evangelizzerei come se stessi facendo la rianimazione bocca a bocca a una persona che sta annegando. L’hai appena tirato fuori dall’acqua, devi fargli tornare il respiro nei polmoni ed è così che salvi delle vite. Succede spesso.
L’evangelizzazione come respiro della vita
Nel nostro lavoro con Jeunesse-Lumière, quando parliamo a una classe, spesso due o tre classi sono insieme in un liceo o in un istituto. Abbiamo due ore di tempo per ogni gruppo di alunni.
Terminiamo sempre con dieci minuti di semplice preghiera. Prima di iniziare, avvertiamo gli studenti: “Se volete andarvene prima della preghiera, siete liberi di farlo”. Ma in realtà nessuno se ne va mai. Iniziamo con alcuni canti dolci, in stile Taizé, in loop, con una o due brevi frasi del Vangelo, seguite da alcune preghiere spontanee ma molto semplici. Gli studenti sono liberi di ripetere o meno queste preghiere.
Spesso, durante questo momento di preghiera, vediamo alcuni alunni piangere. Puoi sentire Gesù che si muove da uno all’altro. In quel momento stiamo portando avanti una vera e propria operazione di salvataggio per insegnare alle persone a respirare di nuovo. Molte anime battezzate sono soffocate, asfissiate. Dobbiamo trasmettere loro il soffio dello Spirito Santo che ci dà il nome di Gesù e ci rivela il nome del Padre.
Perché hai fondato Jeunesse-Lumière?
La Jeunesse-Lumière è una scuola di preghiera e di evangelizzazione. Direi soprattutto una scuola di preghiera per evangelizzare. È un anno in cui i giovani dedicano tutta la loro vita per un anno, o anche di più per alcuni, interrompendo gli studi o il lavoro. Questo anno è interamente dedicato a Gesù, o meglio è ricevuto come un bellissimo dono da Lui.
Il principio della scuola è quello di alternare momenti di vita comunitaria di preghiera. Ogni giorno abbiamo tutte le funzioni liturgiche: Lodi, Vespri, Compieta e ogni sera tre quarti d’ora di adorazione del Santissimo Sacramento. Al mattino c’è mezz’ora di preghiera silenziosa. Il venerdì non ci sono lezioni o pasti insieme. Tutti possono trascorrere ore in preghiera, sia sulla montagna che nella cappella dove è esposto il Santissimo Sacramento.
La preghiera come fonte di parole
Tutto questo è fatto affinché, in missione, la nostra parola scaturisca dal silenzio. Vogliamo che le nostre parole tocchino i cuori perché stiamo vivendo un cuore a cuore con Gesù. Questo dà alle nostre parole profondità e qualità. So che quando parliamo di Gesù in una classe, in un liceo o in un collegio, sentiamo che non sono solo chiacchiere, non sono solo parole. Vengono da un’esperienza personale.
Ecco cosa dice la prima lettera di San Giovanni: “Quello che ho visto con i miei occhi, quello che ho udito con le mie orecchie, quello che ho toccato con le mie mani, quello che ho contemplato del Verbo della vita, questo vi annuncio per la vostra più grande gioia”. Dobbiamo prima aver visto Gesù nella Santa Eucaristia, aver ascoltato la sua parola e averlo toccato nei nostri fratelli e sorelle. È lui che annunciamo.
Parliamo di un’esperienza vissuta, comunichiamo e trasmettiamo tutta la gioia di essere figli di Dio, perché la sperimentiamo. Questa è la forza della nostra evangelizzazione alla Jeunesse-Lumière.
Evangelizzare e accogliere i giovani
Alla Jeunesse-Lumière non siamo mai stati cacciati, né abbiamo mai ricevuto uova o pomodori, tanto meno pietre. Spesso sono i musulmani i più interessati quando parliamo di Dio. È davvero impressionante. Questo è ciò che stiamo sperimentando alla Jeunesse-Lumière.
Quando torniamo, riferiamo al nostro vescovo tutto ciò che abbiamo vissuto e intercediamo per tutti i giovani che abbiamo incontrato, custodendo i loro nomi. A volte scattiamo delle foto. E durante l’adorazione del Santissimo Sacramento, intercediamo per ognuno dei giovani che abbiamo incontrato durante i nostri viaggi missionari, che durano dalle 2 alle 3 settimane, quattro volte l’anno.
Una parola per coloro che non sanno più pregare
Forse un’ultima domanda: avresti qualcosa da dire a coloro che non riescono più pregare?
Credo che la preghiera sia molto più semplice di quanto si pensi. Ad esempio, di recente sono stato in ospedale e ho incontrato una brava signora che mi ha detto:
“Non riesco a pregare Dio. Inizio un’Ave Maria e perdo il filo. Anche col Padre Nostro, mi fermo a metà. È troppo complicato”. Così ho risposto: “Ascolta, devi dire solo due parole: Maria e Gesù. Sono gli unici due nomi dell’Ave Maria: “Ave Maria… Gesù, benedetto il tuo bambino”. È sufficiente. Solo due parole. Chi non sa dire due parole?”. Quando la rividi una settimana dopo, era trasfigurata. Mi disse: “È meraviglioso, è così semplice. Dico sempre Maria, Gesù, Maria, Maria-Gesù. “
E aggiunse che questo le procurava una grande dolcezza nel cuore, perché queste due parole imploravano, ringraziavano e intercedevano allo stesso tempo. Solo Maria. Gesù. Quindi devi dire a qualcuno che ha problemi a pregare: “Inizia da qui. Di’ semplicemente: Maria. Gesù. “
Non c’è altro da dire. Il Padre ascolta. Lo Spirito Santo le pronuncia in te. E questo è tutto. Ecco: niente è più semplice della preghiera.
Pregare per i nostri morti
Hai detto: “Le tue lacrime possono diventare una preghiera”. Cosa puoi dire a chi è in lutto? Puoi condividere con noi la tua preghiera per i nostri defunti?
Prima di tutto, direi che una parte di te è già in cielo con lei. Lei ha portato il tuo cuore lassù. Quindi puoi sperimentare un nuovo tipo di relazione con lei. Non è più fisica, purtroppo, ma spirituale. Quando ricevi Gesù nella comunione, sai che lei è con Lui. Quindi puoi parlare con lei durante il momento del ringraziamento. Lei ti ascolta attraverso Gesù.
Ecco l’importanza di pregare per le anime del Purgatorio. Più intercediamo per loro, più loro possono intercedere per noi. È una cosa straordinaria. Gesù dà a noi, che siamo ancora sulla terra, un potere pari a quello dei santi in cielo per accelerare il loro ingresso nella gloria. In questo modo, possiamo far nascere alla vita celeste coloro che abbiamo amato e continuiamo ad amare. Esiste infatti un’interconnessione permanente tra la Chiesa del cielo, la Chiesa della terra e la Chiesa della speranza – la Chiesa delle anime in cammino, in purgatorio.
Questo è particolarmente vero per coloro che sono morti senza aver conosciuto la speranza, forse addirittura nella disperazione, come coloro che si sono suicidati. In cielo non c’è più speranza, perché lì si realizza. Quindi, in questo brano, Dio vuole offrire loro la gioia della speranza di cui parla San Paolo. E ci proietta nel futuro: saremo riuniti con coloro che abbiamo amato. Il tuo caro defunto non è solo nel tuo passato, ma anche nel tuo futuro. Questa è la speranza: la certezza di essere riuniti nel Regno. Anche tutti i santi sono nel nostro futuro. Che siano vissuti nel secolo scorso o mille anni fa – Francesco, Domenico, Grignion de Montfort… – li incontreremo. Siamo proiettati verso di loro.
È molto consolante.
E aggiungo questo: in questa comunione di preghiera tra i vivi e i morti, c’è qualcosa di magnifico e profondamente reciproco.
Che la Vergine Maria, che ha visto partire il proprio Figlio e che ha vissuto senza di lui su questa terra per tanti anni, asciughi ogni lacrima dal vostro volto, voi che siete in lutto.
Intervista di Amélie Le Bars
del 15 aprile 2025 per Chemin d’Eternité n. 324.