Un pellegrinaggio per liberarsi dalla rabbia

Quando, contro ogni previsione, sua figlia guarisce, Nathalie non riesce a gioire perché sente la rabbia salire dentro di sé. È il punto di partenza del suo pellegrinaggio di 400 km da Arles al confine italiano. In questo viaggio di riparazione da sola, non è alla fine delle sue sorprese. La storia di un pellegrinaggio per liberarsi dalla rabbia.

“Mi chiamo Nathalie. Sono sposata e abbiamo la gioia di avere quattro figli. Tuttavia, qualche mese fa, ho preso una decisione che mi è sembrata quasi folle: andare in pellegrinaggio da sola lungo la Via Aurelia, 400 km da Arles a Roma, per quindici giorni. Questa scelta era lontana dalla mia vera natura. Non sono avventurosa e tendo a temere l’ignoto. Eppure sentivo di dover fare questo viaggio.

Perché mettersi in viaggio da soli?

Per sei anni la nostra famiglia ha vissuto una prova terribile: nostra figlia era gravemente malata, con una prognosi pericolosa per la vita. Poi, contro ogni previsione, ha iniziato a migliorare, fino a guarire completamente, in modo tanto improvviso quanto inspiegabile. È stato un dono inestimabile di Dio, una grazia infinita. Ma invece di sentirmi pieno di gioia, ho provato una rabbia sorda.

Per tutta la durata della mia malattia, ho avuto la sensazione di essere trasportata, sostenuta dalla fede, dalla certezza di essere nelle mani di Dio. La fede di nostra figlia ci ha portato, aiutato e sostenuto. Eppure, proprio mentre stava recuperando la salute, una domanda mi assalì: perché Dio le aveva permesso di soffrire così tanto? Perché la nostra famiglia ha dovuto sopportare questo calvario per sei lunghi anni? Questa rabbia ha spento la mia gioia e ho sentito che mi teneva prigioniero. Dovevo trovare un modo per liberarmi.

Entrare nel profondo di te stesso

Così ho deciso di andare in pellegrinaggio. Non una ritirata statica, ma una marcia fisica per schiacciare, passo dopo passo, questi anni di dolore e di rivolta. Ho preso la mia decisione in fretta, per paura di lasciare che le mie paure avessero la meglio su di me: paura di rimanere sola, di affrontare la mia vulnerabilità, di trovarmi faccia a faccia con me stessa. Mia figlia maggiore mi ha accompagnato per i primi due giorni, poi mi ha lasciato da solo. Doveva essere così. Avevo bisogno di questo tête-à-tête con me stesso per scendere nel profondo del mio essere. Ed è lì che Dio mi stava aspettando, a braccia aperte.

Pensavo di vivere un’apoteosi spirituale, un momento di esaltazione e di vicinanza a Cristo. In realtà, ho incontrato il mio punto debole. Ho pianto, ho urlato, ho attraversato tempeste interiori. Ma Dio era lì, in quell’angoscia, in quella nudità dell’anima. E a poco a poco la rabbia scomparve. Dopo una settimana di cammino, era svenuta.

Ho incontrato la mia debolezza.
Ho pianto, ho urlato, ho affrontato le tempeste interiori

Capire questa rabbia per liberarsi

Guardando indietro, mi rendo conto che questa rabbia era il frutto della mia fragilità. Mio marito, invece, aveva vissuto questa prova in totale fede, senza le battaglie interiori che mi avevano lacerato. Io, invece, ho fatto affidamento sulle mie forze. Pensavo di abbandonarmi a Dio, ma non mi ero messo completamente nelle sue mani. Su questa strada, mi sono reso conto che se avessi avuto la fiducia di un bambino nelle braccia di suo Padre, avrei vissuto questa resurrezione con pace e gratitudine, invece di avere il cuore diviso tra gratitudine e rivolta.

Fidarsi e abbandonarsi a Dio è una lotta, soprattutto per una madre il cui figlio è malato. Ma non è una battaglia persa in partenza: è una battaglia che porta alla vittoria.

Nathalie - Il pellegrinaggio
Nathalie e sua figlia per la rivista Chemin d’Eternité n. 323 – pellegrinaggio. Eglise Notre-Dame du Travail, Parigi 14° sabato 8 febbraio 2025

Camminare è terapeutico

Camminare è terapeutico perché ci permette di andare avanti, sia fisicamente che interiormente. Ci impedisce di congelare sotto il peso della sofferenza, delle prove e dei dubbi. Camminare significa andare avanti, e andare avanti è già l’inizio della guarigione.

Inoltre, camminare ha una dimensione profondamente evangelica: Gesù camminava con i suoi discepoli, andando incontro agli altri sulle strade. Non mi aspettavo che il Vangelo mi parlasse così tanto mentre camminavo. Ma ogni passo lungo il percorso risuonava con le Scritture: gli incontri, le salite e le discese, tutti evocavano la vita di Cristo e i suoi viaggi. Durante la malattia di mia figlia, sono stata costretta a rimanere immobile, a vegliare sulla sua porta, chiusa in un’ansiosa attesa. Questa passeggiata è stata una liberazione, un movimento necessario per rinascere alla vita.

Questa passeggiata è stata una liberazione, un movimento necessario per rinascere alla vita.

La Via Aurelia segue il percorso di Santiago de Compostela. Come tutti i pellegrini di Compostela, avevo la mia credenziale che mi dava accesso all’alloggio per la notte. Ma durante il giorno ero sola. Ho incontrato qualche pellegrino, ma raramente. Questa solitudine, lungi dall’essere un vuoto, era una pienezza. Ho camminato nella natura, immerso nella bellezza dell’opera di Dio. Ero minuscolo contro le montagne, le foreste, i cieli immensi. Eppure sentivo di appartenere a questo mondo.

Ma mentre la solitudine nella natura era una fonte di pace, la solitudine nei villaggi era molto più dura. L’accoglienza non è stata sempre calorosa. Una donna sola con uno zaino è spesso vista con sospetto. Questa esperienza mi ha messo di fronte ai miei giudizi: quante volte mi sono girato dall’altra parte di fronte a qualcuno che aveva bisogno? Camminare da soli significa anche scendere dentro se stessi e vedersi come si è realmente.

Il pellegrinaggio,
un percorso di verità per liberarci dalla rabbia

Mentre camminavo, mi sono reso conto dei miei difetti, dei miei punti ciechi. Non era una valutazione disperata, al contrario. “La verità vi farà liberi” (Gv 8:32). Vedere i miei limiti e le mie mancanze, ma sapere che tutto questo era già stato perdonato, è stata una fonte di profonda gioia.

Camminare è una scuola di umiltà. Ogni passo mi riportava alla mia condizione di creatura. Non ho alcun controllo sulla mia vita, ma sono amato con un amore infinito. E solo accettando il mio posto nelle mani di Dio ho trovato la pace.

Dio ha il senso dell’umorismo

Essere soli significa anche non ridere più. Ma nella mia famiglia la risata è sempre stata fondamentale, anche nei momenti più difficili. All’inizio ho cercato di rievocare ricordi divertenti per ridere da solo, ma era assurdo. E poi ho capito: Dio ha il senso dell’umorismo. Laddove io ero solita innervosirmi per i miei fallimenti, la mia goffaggine, i miei errori, Lui rideva con tenerezza. Questo sguardo di misericordia è stato una grande lezione.

Leggi l’intervista a Nathalie su Chemin d’éternité n°323 (aprile-maggio-giugno 2025)

La preghiera è il cibo del pellegrino

Ci sono stati momenti in cui la mia sofferenza era troppo intensa, in cui sono diventato irraggiungibile. Evitavo le altre persone per paura che il mio dolore si ripercuotesse su di loro, ma anche per paura di ferirle con la mia sofferenza. Come un animale ferito, a volte ho reagito in modo aggressivo, e so che avrei potuto essere dura. La mia lotta è stata quella di accettare che gli altri potessero toccare la mia sofferenza e di non isolarmi completamente. Non è stato facile, ma mia figlia mi ha mostrato la strada. Non poteva scappare. Doveva accettare di essere avvicinata, accudita, anche quando era insopportabile.

Su quella strada, in quella seconda parte del pellegrinaggio in cui il mio cuore era aperto al ringraziamento, ho pregato per tutte le persone che avevano pregato per nostra figlia. Questa guarigione miracolosa non fu solo un dono di Dio, ma anche il frutto di un’immensa preghiera. Sono rimasta profondamente colpita dal numero di persone che hanno pregato per nostra figlia, a volte senza nemmeno conoscerla. Abbiamo ricevuto messaggi, intenzioni e novene offerte per lei. Sono stata sopraffatta dall’effusione di preghiere e, a mia volta, ho voluto condividerle con loro.

Il pellegrinaggio è stato estenuante. Eppure, vedere la fede incrollabile degli altri, questa speranza contro la speranza mantenuta con fervore, mi ha profondamente commosso. Questo potere della preghiera era magnifico e incredibile. Così, in questa seconda parte del mio pellegrinaggio, ho avuto la gioia di pregare per tutte queste persone. Era un modo per ringraziarli, un tributo silenzioso ma potente al loro impegno.

Nella mia testa pensavo a questa o quella persona, poi a un’altra e a un’altra ancora. Il numero di persone che avevano pregato per noi era incalcolabile. Questo pellegrinaggio è diventato un rosario vivente, una preghiera in movimento, dove ogni passo portava con sé un’intenzione.

E queste persone, lungi dall’aspettarsi un riconoscimento, ci dicevano umilmente: “È stata vostra figlia a darci l’opportunità di pregare”.

Liberarsi dalla rabbia

Il punto di svolta del mio pellegrinaggio fu una visione: Cristo sulla croce, bianco, pacifico, radioso, che si stagliava dal legno della croce, consolato da una donna. Questo Cristo mi ha commosso. Mi ha portato a chiedere perdono per la mia rabbia. La sofferenza fa parte della vita, ma Dio non ne è l’autore. È Lui che ci aiuta a superarlo. Da quel momento in poi, il mio pellegrinaggio è diventato un pellegrinaggio di ringraziamento.

Mettere a distanza la sofferenza con la persona che ami?

È impossibile: quando amiamo, soffriamo; quando soffriamo, amiamo. È quello che dicevamo ai nostri figli. Fa male amare, ecco tutto. E la nostra sofferenza rivela anche il nostro amore. Se soffriamo, è perché amiamo profondamente. È una verità difficile da accettare, ma dobbiamo riuscire a lasciare un posto a Dio in questa sofferenza, in modo che possa venire a riparare ciò che deve essere riparato. Nei momenti di grande dolore, questo può sembrare irraggiungibile.

Quando amiamo, soffriamo; quando soffriamo, amiamo. È quello che dicevamo ai nostri figli.

Naturalmente la fede ci sostiene. Le preghiere degli altri sono una forza inestimabile. Siamo stati benedetti da sacerdoti che hanno visitato la nostra casa e hanno celebrato molte messe qui. È stato un dono incredibile, una presenza che ci ha portato oltre ogni nostra immaginazione.

La preghiera è la forza dei deboli

Oggi penso a tutte quelle persone che credono nei miracoli, che sperano e si affidano a Dio. Mi metto nei loro panni e penso che, di fronte alla nostra storia, sarei molto arrabbiato. La considererei un’ingiustizia. Perché proprio noi? Non lo so. Infatti, riceviamo la nostra vita così com’è. Anche noi riceviamo la grazia e non abbiamo alcun merito. È un regalo. Non abbiamo meritato questa grazia. Quello che posso dire alle persone che sperano è che sto pregando per loro.

Nathalie - Il pellegrinaggio
CE323 – Intervista a Nathalie per la rivista Chemin d’Eternité n°323 – pellegrinaggio. Eglise Notre-Dame du Travail, Parigi 14° sabato 8 febbraio 2025

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