Sull’orlo della morte o quando pensiamo alla morte, certe quesioni possono pesare su di noi. Ad esempio, un perdono non dato o una cattiva azione, un’infedeltà, una condanna dolorosa, un rifiuto di amare, ecc. È assolutamente necessario saldare tutti i conti? Dovremmo confessarci prima di morire? Intervista a Don Axel de Perthuis, cappellano del santuario di Montligeon per il programma Sanctuaires normands su RCF.
La questione del perdono, la remissione dei debiti nel senso simbolico che abbiamo gli uni verso gli altri, è fondamentale per il cristianesimo. È uno dei principali insegnamenti di Cristo. Insegnando il Padre Nostro ai suoi discepoli, egli ha chiarito che per ricevere il perdono di Dio, bisogna perdonare i propri fratelli e sorelle. È impegnativo, ma necessario.
Il perdono è necessario nella vita di tutti i giorni. E quando sei all’estremo?
Il perdono delle offese è un’abitudine da formare. È importante avere l’abitudine di perdonare, di discutere con chi ci ha ferito per poter chiedere perdono o concedere perdono e per riequilibrare i rapporti. Questo dovrebbe essere fatto su base giornaliera, se possibile, nella misura in cui le circostanze lo richiedono o lo consentono.
Ma in effetti, l’avvicinarsi della morte è il momento per regolare davvero i conti. Perché tutti siamo orgogliosi, testardi e a volte ci rifiutiamo di perdonare. Ed è solo all’estremo che finalmente lo accettiamo e capiamo che dobbiamo perdonare certe cose, chiedere perdono. Comprendiamo che non dobbiamo presentarci davanti a Cristo con tutte queste cose nel cuore.
Se non si è perdonato prima della morte, sarà possibile farlo dopo?
Perdonare i peccati è necessario per la salvezza, come ci ricorda Gesù dopo averci insegnato il Padre Nostro (Mt 6,14-15). È anche la condizione necessaria e sufficiente per ricevere da Dio il perdono dei nostri peccati. Il rifiuto assoluto di perdonare può distruggere in noi l’amicizia con Dio e con il prossimo (la carità), e rendere permanentemente impossibile raggiungere il Cielo con la nostra volontà.
Tuttavia, si può presumere che in molti casi il rifiuto di perdonare non sia totale, se non altro per il desiderio di obbedire a Dio, ma assomigli piuttosto a una forte resistenza interiore. In questo caso, il purgatorio sarà un’occasione per essere purificati da questi rancori e peccati dello stesso tipo. Ma tanto vale risparmiarsi sofferenze inutili e perdonare prima della morte o chiedere perdono prima della morte. La confessione praticata con sincerità porta a un cambiamento che ci permette di metterci in discussione e chiedere perdono.
Non è troppo doloroso riesumare vecchi rancori?
Va valutato caso per caso e deve essere regolato in modo intelligente in base alle circostanze. Se, in nome di un’ideologia del perdono, mettessimo il conflitto dove c’era la pace, sarebbe un peccato. Ma penso che nella maggior parte dei casi ci sia ancora il perdono da dare o da ricevere e che, al contrario, porti la pace. Le parole non sono necessariamente necessarie. Un atteggiamento, uno sguardo possono implicitamente far capire che perdoniamo certe cose senza bisogno di ricordare tutto e ripetere verbalmente il torto che è stato fatto.
Come possiamo capire se è necessario chiedere perdono? L’avvicinarsi della morte ci aiuta in questo?
Prima di tutto, ricordiamoci che è bene confessarsi nel modo consueto. È una buona cosa per l’anima, fa sentire bene e aiuta nella vita di tutti i giorni. Allora, con l’avvicinarsi della morte, è probabile che dimenticheremo gran parte dei nostri peccati passati, anche se questo non è necessariamente drammatico nella misura in cui il giudizio non è un bilancio contabile.
Lo scopo della confessione prima della morte è soprattutto quello di avere il retto atteggiamento del cuore, di essere nella giusta disposizione verso Dio, di avere un vero rammarico per le proprie colpe per amore di Dio. Il sacramento dona un cuore contrito e umile, e questa è la cosa più importante. Possiamo aver dimenticato i peccati, ma il Signore li conosce e può perdonare anche ciò che abbiamo dimenticato. Non dobbiamo avere paura e nemmeno essere scrupolosi.
Rifiutando di confessarci, non feriamo forse il cuore di Dio?
Nel nostro rapporto con Dio, possiamo essere consapevoli della nostra inadeguatezza, della piccolezza del nostro amore, della nostra ingratitudine, del fatto che stiamo sprecando la grazia che Lui ci dà sempre di nuovo. Potremmo vergognarcene. E se la vergogna non è necessariamente buona, lo è l’umiltà. L’obiettivo è quello di donarci un cuore umile e pronto a ricevere la misericordia di Dio. Avendo il dolore del peccato commesso sia verso Dio che verso gli altri.
Nella confessione prima di morire, ci sono peccati che contano più di altri?
Una confessione poco prima della morte si concentrerà sui peccati essenziali. Non credo che sia utile contare tutti i piccoli peccati, ma è meglio andare al sodo e cercare di vedere dove si trova la radice del peccato. Vale a dire, il peccato che non è solo nelle azioni, ma anche nelle disposizioni dell’essere. È bene andare direttamente alla radice del peccato per confessare questo, per ricevere il perdono di Dio. Dobbiamo dire degli atti compiuti, poiché gli atti mostrano la disposizione interiore. Ma non credo sia necessario enumerare tutte le occasioni in cui abbiamo peccato.
Riguardo ai diversi tipi di peccati, c’è il peccato contro lo Spirito, “che non sarà perdonato né in questo mondo né nell’altro”, secondo le parole di Gesù. Gli altri peccati, quelli che si definiscono peccati quotidiani o peccati non pienamente voluti, possono essere perdonati dopo la morte, in purgatorio; ma tanto vale liberarsene oggi, è infinitamente preferibile.
L’ultima confessione dà la forza di aiutare a morire?
Sì certo. La confessione ci dona il perdono delle offese e la contrizione del cuore, la vera contrizione. Ci permette anche di essere gioiosi perché siamo felici e liberati dal peccato grazie a questo sacramento. Questo è ovviamente il modo giusto di morire. Il sacerdote, quando accompagna un moribondo, gli dà anche il sacramento degli infermi, la benedizione all’approssimarsi della morte (che dà l’indulgenza plenaria) e infine la comunione. Tutti questi sacramenti ci aiutano, ci preparano all’incontro con Cristo dopo la morte.
È essenziale vedere un sacerdote prima di morire?
Purtroppo, questo non è sempre possibile, ma la contrizione perfetta di cui ho parlato può essere data anche senza confessione. Pensiamo, ad esempio, al Buon Ladrone, crocifisso accanto a Cristo. Non si confessò, ma andò dritto in paradiso. Se una persona, all’avvicinarsi della morte, ha una vera conversione, un vero rimpianto per le sue colpe per amore di Dio, ma non può confessarsi perché non c’è un sacerdote, riceve le stesse grazie come se si fosse confessata.
È facile pentirsi dei propri peccati poco prima di morire?
È lungo tutta la nostra vita che “lavoriamo” sul nostro rapporto con Dio, che cerchiamo di avere il cuore dei poveri necessario per ricevere la salvezza. Così, ogni volta che ci confessiamo, apriamo il nostro cuore. Può far male, ma ci aiuta anche ad avere il giusto atteggiamento verso Dio, ad essere pronti a ricevere la sua misericordia. D’altra parte, chi ha il cuore chiuso, duro, che non perdona gli altri e che non ha nemmeno l’abitudine di chiedere perdono, avrà difficoltà, con l’avvicinarsi della morte, ad aprire il proprio cuore. Forse ci riuscirà ancora, ma è bene prepararsi il prima possibile, poiché è oggi che abbiamo bisogno di ricevere comunque la misericordia di Dio.
Più si è abituati a confessarsi, più si è abituati a perdonare agli altri le loro offese, più si è nel giusto atteggiamento verso Dio. Siamo nell’atteggiamento del bambino che il Signore ci chiede di essere per accedere al Regno dei cieli. E lo diventiamo sempre di più attraverso l’accoglienza e il dono della misericordia.
Una confessione fatta per paura dell’inferno è efficace?
Normalmente, ci si dovrebbe pentire dei propri peccati per amore di Dio, ma se qualcuno si confessa perché ha paura di andare all’inferno, è sempre un primo passo, anche se non è l’ideale. C’è un termine tecnico per la contrizione imperfetta dei peccati: attrizione. È l’atto di rimpiangere i propri peccati per le ragioni sbagliate. Questo può essere dovuto a un desiderio di purezza basato sull’orgoglio o alla paura di una punizione. Eppure è una disposizione sufficiente per ricevere il perdono di Dio nella confessione. E la contrizione è proprio uno dei frutti della confessione: il sacramento reindirizza il rimpianto per i peccati perché sia così per amore di Dio, perché ci sia una ferita vera, un cuore spezzato, ma nel modo giusto.
Si tratta di una vecchia disputa teologica: i giansenisti sostenevano che per confessarsi bisognava avere una contrizione perfetta, mentre i gesuiti ricordavano che se la contrizione era imperfetta, ci si poteva comunque confessare.