A lungo considerato superato dalla Chiesa, il purgatorio sta ora suscitando un rinnovato interesse. Provoca anche reazioni, a volte in modo molto ostile. Eppure, contrariamente a tutte le immagini terrificanti di cui è adornato, il purgatorio è luminoso. Conferenza di P. Paul Denizot al pellegrinaggio del 2 novembre 2024.
A lungo considerato superato dalla Chiesa, il purgatorio non solo suscita oggi un rinnovato interesse, ma sta anche provocando una reazione. Lo dimostrano i video pubblicati su questo tema sul sito di Montligeon. Provocano reazioni sorprendenti, derisorie e talvolta molto ostili da parte dei cristiani in Francia o in Africa. Se questa verità di fede è inquietante e allo stesso tempo suscita interesse, è urgente spazzare via le idee preconcette e mostrare che il purgatorio è luminoso.
Ricordiamoci anzitutto che il purgatorio non è l’immagine che ne è stata data, basata unicamente sulla giustizia divina, di un luogo sinistro dove le povere anime soffrono punizioni spaventose. Il romanticismo dell’Ottocento si crogiolava in questo lato oscuro e noi lo abbiamo ereditato. Questa visione è venuta a penalizzare un mistero che è luminoso, quello dell’esistenza di un tempo di purificazione dopo la morte. Certo, c’è la sofferenza in purgatorio, ma se è l’anticamera del cielo e se ci conduce attraverso la guarigione al Signore, non può che essere un tempo luminoso.
Il purgatorio non ha mai smesso di esistere
Nato nel Medioevo, il purgatorio fu definito dalla Chiesa nel 1439, in occasione del Concilio di Firenze. Ma questo non significa che i cristiani non ci credessero prima. Al contrario, ci hanno sempre creduto perché hanno sempre pregato per i morti. E prima di loro, gli ebrei. Ne abbiamo una testimonianza molto bella nel libro dei Maccabei (2 Mc 12,39-46): il giorno dopo una battaglia contro Gorgia, Giuda Maccabeo, comandante dell’esercito d’Israele, fece togliere i corpi dei soldati morti che avevano dato la vita per difendere la loro fede contro i persecutori. Tuttavia, su di loro si trovano amuleti, il che significa che la loro fede non era del tutto pura.
Vedendo ciò, Giuda Maccabeo, quel grande combattente della resistenza per la fede di Israele, organizzò una grande raccolta di denaro che inviò a Gerusalemme per offrire un sacrificio per i peccati dei morti. Infatti, continua il racconto, “Se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. (…) Perciò egli fece questo sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato. »
Pregare per i defunti è inseparabile dal cuore umano
Gli ebrei non sono i soli a intercedere per i morti. Infatti, fin dall’inizio dell’umanità, l’uomo ha compiuto riti, pregato, costruito tombe per i suoi defunti. Gli egizi, ad esempio, avevano un Libro dei Morti e seguivano scrupolosamente tutti i riti di mummificazione per inviarli nell’aldilà. Tra i Celti, i guerrieri venivano persino sepolti in piedi sui loro carri. In Africa, il culto del defunto è profondamente radicato nella cultura. Così, pregare per i defunti è inseparabile dal cuore umano. E ancora oggi in Francia, in una società secolarizzata che non crede più né in Dio né nel diavolo, quando accadono tragedie, si accendono candele, si organizzano marce bianche, si mettono peluches sul luogo della tragedia. Questo dimostra che l’uomo non può risolversi alla morte.
Niente fa più male della morte di una persona cara. Perdere un coniuge è un po’ come perdere una parte di te stesso. Perdere un figlio è come tracciare una linea sul futuro. Di fronte a queste tragedie, tenere discorsi è spesso vano. D’altra parte, compiere atti, compiere riti esprime il grido dell’uomo che non riesce a risolversi alla fine di colui che ama e che vuole rimanere in contatto con Lui. E su questa umanità che prega per i suoi defunti, il Vangelo viene a purificare tutto ciò che può essere magico e a portargli la sua luce e la sua speranza.
Che cosa dice sul purgatorio la Rivelazione?
La Chiesa ha sempre avuto l’intuizione profonda che da una parte si può raggiungere il defunto oltre la morte. E che d’altra parte c’è un tempo di purificazione per coloro che sono morti nell’amore, che sono perdonati, ma che sono imperfettamente purificati. Per fare questo, si basa su un testo molto forte di san Paolo (1 Cor 3,15) in cui menziona la pietra di fondazione. Nella nostra vita, la pietra angolare è Gesù.
Quindi possiamo costruire su questa pietra angolare con oro, argento, pietre preziose o con legno, fieno, paglia. Ma, dice san Paolo, ” l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l’opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco. . »
Altri testi più impliciti evocano il purgatorio. Ad esempio, quando Gesù dice che chiunque pecca contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonato né in questo secolo né nel prossimo (Mt 12,31-32). Ciò significa che c’è un altro momento in cui i nostri peccati possono essere perdonati.
Una purificazione dopo la morte
La Chiesa ha approfondito questa intuizione della purificazione dopo la morte con i Padri della Chiesa come sant’Agostino, Origene e san Clemente alessandrino. Poi, nel 1439, il termine “purgatorio” apparve nella fede della Chiesa in modo dogmatico.
Infine, il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen gentium, n. 49), afferma: «Perciò, finché il Signore non sia venuto nella sua maestà accompagnato da tutti gli angeli (cfr Mt 25,31) e finché la morte non sia stata distrutta e tutte le cose gli siano state sottomesse (cfr 1 Cor 15,26-27), alcuni dei suoi discepoli continuano il loro pellegrinaggio sulla terra; altri, avendo terminato la loro vita, si stanno ancora purificando; altri sono nella gloria, contemplando “in piena luce, come lui, l’unico Dio in tre Persone”. È interessante notare che la Chiesa non usa la parola purgatorio, ma parla di una purificazione. Ne parla anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (n° 1023-1029).
“Permettere il passaggio definitivo nell’amore di Dio”
Quanto a Papa Francesco, egli ha appena ricordato nella Spes non confundit, la bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’anno 2025: “Il giudizio riguarda dunque la salvezza che speriamo e che Gesù ha ottenuto per noi con la sua morte e risurrezione. Egli è quindi destinato ad aprirci all’incontro ultimo con Lui. E poiché, in questo contesto, non si può pensare che il male commesso rimanga nascosto, ha bisogno di essere purificato per permettere il passaggio definitivo nell’amore di Dio.
In questo senso, comprendiamo la necessità di pregare per coloro che hanno compiuto il loro cammino terreno, la solidarietà nell’intercessione orante che trae la sua efficacia dalla comunione dei santi, dal comune vincolo che ci unisce in Cristo, primogenito della creazione. Così, l’Indulgenza giubilare, in virtù della preghiera, è destinata in modo speciale a coloro che ci hanno preceduto, perché ottengano piena misericordia”.
Il purgatorio è luminoso
Il purgatorio fa parte della fede cattolica e questa è un’ottima notizia. Certo, c’è una sofferenza terribile in purgatorio, ed è per questo che dobbiamo essere costantemente convertiti qui sulla terra. Tuttavia, non si tratta di subire la punizione di un Dio vendicativo. La sofferenza dell’anima nella purificazione è la certezza di rivedere Dio e di non vederlo ancora. È la sofferenza del desiderio, come dice il Salmo 41: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. »
Per fare un esempio concreto, questa sofferenza assomiglia a quella di due innamorati che sanno che si incontreranno di nuovo e che desiderano il momento del loro ricongiungimento. Più lunga è l’attesa, più aumenta la loro gioia all’idea di riunirsi presto, ma più cresce la loro impazienza e li fa soffrire. La sofferenza del purgatorio non è istituita dall’esterno, è la sofferenza dell’amore che apre il cuore e del desiderio che cresce. E nello stesso tempo in cui questo desiderio cresce, ci libera da tutti i cattivi attaccamenti, cioè dal peccato.
Il peccato
Il peccato è quando mettiamo il nostro desiderio in una realtà diversa dal Signore e preferiamo la creatura al Creatore mentre il nostro cuore è fatto per Dio. Così, diventiamo schiavi, del denaro, del piacere, degli smartphone, del potere, dell’orgoglio, ecc. Tutti noi abbiamo legami che ci impediscono di essere liberi ed è per questo che esiste il purgatorio. Può essere paragonato alla riabilitazione, con tutte le difficoltà che questo comporta, perché liberarsi da alcol, droghe o pornografia, ad esempio, è molto difficile. Quindi, il purgatorio è una cura disintossicante dalle conseguenze dei nostri peccati. Ci insegna a lasciare andare le sicurezze che ci siamo dati e a diventare liberi. In cielo c’è solo libertà, quindi la sofferenza in purgatorio è il risultato di un distacco dai legami che ci attanagliano.
« E’ l’incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci libera per farci diventare veramente noi stessi. Le cose edificate durante la vita possono allora rivelarsi paglia secca, vuota millanteria, e crollare. Ma nel dolore di questo incontro, in cui l’impuroed il malsano del nostro essere si rendono a noi evidenti, sta la salvezza. Il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana mediante una trasformazione certamente dolorosa “come attraverso il fuoco”. E’ tuttavia un dolore beato, in cui il potere santo del suo amore ci penetra come fiamma, consentendoci alla fine di essere totalmente no stessi e con ciò totalmente di Dio . » Benedetto XVI, Spe Salvi (n° 47) .
Dio ha voluto fare di noi dei santi
Tutti abbiamo la nostalgia di essere una brava persona, come canta Enzo Enzo. È una profonda nostalgia di ciò che Dio ha posto in noi quando ci ha creati: la sua immagine. Ha voluto farci santi e per tutta la nostra vita, ci trasforma perché possiamo diventare santi. Non in modo brutale, ma con una delicatezza incredibile, come una madre.
Lui è Padre, ma ha il cuore di una madre e come una madre, si prende cura di noi con infinita dolcezza. In purgatorio, procede allo stesso modo e continua la sua opera di guarigione trasformando la nostra anima con dolcezza e delicatezza. Il Padre non ci trasforma nostro malgrado. Ci guarisce interiormente nel profondo del nostro essere. E attende pazientemente che la sua grazia e il suo amore si impossessino del nostro essere, che la sua luce illumini tutte le tenebre della nostra anima.
La parabola del figliol prodigo è un’illustrazione perfetta di questa delicatezza di Dio. Quando il figlio ritorna da suo padre, lo fa perché ha fame e non perché si è reso conto di aver peccato gravemente contro di lui. Ma quando si getta ai suoi piedi, questi è così mosso a pietà, ha pensato tanto a lui durante la sua assenza, così atteso, che non ascolta nemmeno il suo discorso: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te”. Lo bacia e si prende il tempo, prima della festa, per restituirgli la sua dignità: “Mettetegli sandali ai piedi, un anello al dito”. Lo restituisce alla sua dignità perché possa vivere in totale comunione con Lui. Ecco fino a che punto si estende la delicatezza di Dio!
Il fuoco del purgatorio
Non è un fuoco fisico, poiché le anime non hanno corpo. Il fuoco del purgatorio, come quello dell’inferno e quello del cielo, è un solo e medesimo fuoco, quello dell’amore di Dio. In cielo illumina e trasfigura. All’inferno brucia perché i dannati rifiutano l’amore di Dio. Infatti, non è Dio che punisce, ma il dannato che rifiuta l’amore con tutto il suo essere mentre è stato creato per amore. Ed è questo che lo brucia. In purgatorio, lo stesso amore di Dio brucia delicatamente tutte le impurità, le incongruenze e i postumi del peccato. E in questo modo ristabilisce la giustizia.
La giustizia di Dio
Per Benedetto XVI la giustizia di Dio è una delle prove dell’esistenza di Dio. Per quale motivo? Perché, nel profondo del nostro cuore, tutti abbiamo sete di giustizia e ci indigniamo spontaneamente di fronte all’ingiustizia. Dobbiamo lavorare per la giustizia: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati”, dice Gesù nelle Beatitudini. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,8-9). Eppure, quaggiù, è l’ingiustizia che ha l’ultima parola: tante ingiustizie nella storia dell’umanità non sono state lavate via!
La giustizia di Dio non è un tribunale con un giudice esterno, vendicativo e vendicatore. Il Signore, il nostro giudice, sa cosa c’è nel profondo del nostro cuore. Lo sa meglio di noi. E quando fa giustizia, ci trasforma interiormente. Questo è il significato della parola espiazione. Purificandoci e guarendoci, l’amore di Dio fa ammenda per le ingiustizie che abbiamo commesso. La giustizia divina è una giustizia che è amore. Le due cose sono inseparabili.
Il purgatorio è un mistero luminoso, perché le anime del purgatorio sanno di essere salvate. Sono già nell’amore di Dio, sono nella grazia, sono santi. Hanno bisogno di una sola cosa, ed è vedere il volto di Dio, contemplarlo faccia a faccia. Santa Caterina da Genova, che ha scritto molto sul Purgatorio, dice che “non c’è gioia quaggiù come la gioia del Purgatorio”.
Come aiutare i defunti?
Crediamo di poter aiutare i nostri defunti attraverso la Messa. Quando i fedeli offrono la Messa con il sacerdote, offrono il sacrificio di Cristo, e questo sacrificio di Cristo è infinito. Non c’è preghiera più bella della Messa! Per aiutarli, possiamo anche recitare il rosario, fare un pellegrinaggio, chiedere una grazia o un’indulgenza speciale. O anche fare l’elemosina. Quando aiutiamo i poveri della terra, possiamo offrirlo anche per le anime del purgatorio.
Con tutto quello che facciamo bene, possiamo aiutare i nostri defunti perché sappiamo, come dice Papa Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi (n. 48): “Non è mai troppo tardi per toccare il cuore dell’altro e non è mai inutile. Possiamo sempre aiutare i nostri defunti. »
Non è mai troppo tardi!
Possiamo ancora toccare i loro cuori, anche se sono morti da molto tempo, inviare loro un grazie, chiedere loro perdono. Quante persone in lutto vengono a trovarci a Montligeon e ci dicono quanto sono dispiaciute per il loro defunto! Credono che sia troppo tardi. Ma nella comunione dei santi non è mai troppo tardi!
Nella preghiera ci rivolgiamo al Signore che è il fondamento del nostro amore, che è il ponte tra noi e i nostri defunti. Rivolgendo le nostre richieste a Gesù (e non ai medium!) non possiamo solo toccare il cuore di coloro che abbiamo amato. Ma anche far crescere l’amore. Il Concilio Vaticano II dice infatti (Lumen gentium n. 49) che “l’unione di coloro che sono ancora in cammino, con i loro fratelli e sorelle che si sono addormentati nella pace di Cristo, non conosce la minima intermittenza; al contrario, secondo la fede costante della Chiesa, questa unione è rafforzata dallo scambio dei beni spirituali. »
Queste relazioni continuano attraverso la nostra preghiera e attraverso l’intercessione del defunto per noi. Non impediscono il pianto, né il dolore della separazione e del lutto. D’altra parte, e noi ne siamo veramente testimoni privilegiati qui a Montligeon, nonostante la sofferenza, nonostante il lutto, c’è questa profonda speranza che Cristo è la vita dei vivi e dei morti.
La speranza per i nostri defunti in purgatorio
Noi speriamo che Cristo dia la vita eterna a coloro che amiamo. Da soli, non possiamo. Perché l’unico che dà la vita è Gesù, che è “la risurrezione e la vita”. La nostra missione è quella di intercedere e dire al Signore di prenderli vicino a sé. Possiamo farlo con la Vergine Maria. Conosce la sofferenza e il dolore e ci ama come una madre. Lei prega per noi, prega per i nostri defunti. Diciamole: “Abbi pietà dei nostri defunti, presentali a tuo Figlio”. Questa è la nostra speranza.
Non disperiamo mai della misericordia del Signore
Non possiamo sapere dove siano i defunti. A parte i santi in cielo, perché la Chiesa ci dice che sono nella gloria. Ma i colpevoli di genocidi del nostro mondo sono all’inferno? Non lo sappiamo perché non siamo noi a giudicare. Anche gli apostoli si meravigliavano e chiedevano: “Ma allora, chi può essere salvato?” E Gesù rispose loro: «È impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile» (Mt 19,26). Non disperiamo mai della misericordia del Signore. Affidiamo i nostri defunti a Dio che è misericordia infinita. Questa è la fede della Chiesa.
“Se accettiamo la morte – dice Papa Francesco in Amoris Laetitia (n. 258) – possiamo prepararci ad essa. Il cammino è quello di crescere nell’amore per coloro che camminano con noi, fino al giorno in cui «non ci sarà più la morte, non ci sarà più pianto, non ci sarà più tristezza» (Ap 21,4). In questo modo, ci prepareremo anche a ritrovare i nostri cari che sono morti. Come Gesù ha ridato il figlio morto a sua madre (cfr Lc 7,15), così sarà anche per noi. Non sprechiamo le nostre energie rimanendo anni e anni nel passato. Meglio viviamo su questa terra, maggiore sarà la felicità che saremo in grado di condividere con i nostri cari in cielo. Più riusciamo a maturare e a crescere, più cose belle possiamo portare loro al banchetto celeste. »