Noi siamo degli eterni insoddisfatti. Cerchiamo la felicità nel piacere. Ci precipitiamo a credere alle promesse di soddisfazioni proposte dal mondo. Ma infine siamo fatti per la felicità? In che cosa consiste? Risposte di don Martin Viviès al microfono di Guillaume Desanges per RCF.
La felicità è semplicemente essere contenti? Dal punto di vista filosofico l’uomo possiede dei desideri che corrispondono a dei bisogni profondi. A differenza degli animali, i nostri desideri non consistono semplicemente nella ricerca del diletto per il corpo. Ma sono anche dei desideri tipicamente umani, come ad esempio quello di conoscere la verità o di amare delle persone.
Nelle Beatitudini (Mt 5, 3-12) proclamate sulla montagna, Gesù propone una felicità di un altro ordine, una felicità che è frutto di una lotta, di un combattimento, e che si ottiene nell’eternità. Nella Bibbia questa felicità si qualifica come vita eterna o visione di Dio. Così ad esempio, alla fine del Vangelo di Matteo, coloro che hanno ricevuto dei talenti e li hanno impiegati bene « entrano nella gioia del loro maestro ».
La felicità esiste soltanto in cielo?
Nel 1975 nell’esortazione apostolica Gaudete in Domino, Paolo VI scriveva :
« La grazia presuppone la natura. Non si uò desiderare la felicità del Cielo se non si è capaci di desiderare le piccole felicità della terra. »
Bisogna iscriversi al club delle gioie semplici! Ad esempio, sentirsi in comunione con la natura, condividere e entrare in comunione con gli altri, approfittare della bellezza… E’ stupefacente: per potere approfittare di Dio, bisogna sapere approfittare di quelle gioie. Il catechismo della Chiesa cattolica dice che per riposarsi la domenica bisogna sviluppare la dimensione artistica: danzare, suonare, dipingere… altrimenti non si è capaci di entrare nel riposo di Dio, il vero riposo.
Perché talvolta dei poveri sono più felici dei ricchi che hanno tutto?
San John Henry Newman diceva a proposito degli idoli dei tempi moderni: « Oggi tutto il mondo è convinto che la felicità riguarda la ricchezza ». C’è necessità di possedere un minimo per non morire di fame, ma questo non basta per colmare il cuore dell’uomo. Profondamente, egli cerca la conoscenza della verità e l’incontro con l’altro nell’amicizia e con Dio.
Il desiderio e il piacere non sono cattivi in se stessi. Ma se prendono troppo posto, se ci ossessionano e ci impediscono di soddisfare i nostri bisogni fondamentali, questo è un problema. Più ci creiamo dei bisogni e più complichiamo il compito di accedere alla felicità.
Quindi, abbiamo il bisogno di moderare certi piaceri. La Chiesa ci esorta a questo, quando ci invita a fare penitenza. Non è per disprezzarli, ma per lasciare posto ad altri beni che sono migliori per noi.
Perché siamo sempre alla ricerca della felicità?
La perpetua insoddisfazione dell’uomo è permessa da Dio affinché egli continui a cercare, e – finalmente – a cercare Lui. S. Agostino ad esempio ha cercato Dio in tutti i campi, le filosofie, le conquiste femminili, etc, ma gli mancava qualcosa. Dio consente questa inquietudine perché vuole che noi Lo cerchiamo, Lui il vero incontro.
Tuttavia, le buone cose che legittimamente ci attirano, non procurano la gioia perfetta. La gioia perfetta si ottiene quando si è capace di rinunciarvi. La croce è l’unico bene che si possa scegliere. Paradossalmente, non c’è felicità più grande che la croce di Cristo. Ecco quel che mostrano le Beatitudini.
Come fare per scegliere i veri beni?
Fate un ritiro in un santuario o in un monastero. Qualche giorno di silenzio vi aiuterà a mettere ordine nelle vostre priorità, a staccarvi dalle cose poco importanti per consacrarci a quelle che vi renderanno veramente felici. Ad esempio, l’incontro con amici, l’arte, la riflessione. Lo scopo è arrivare a scegliere Dio.