Toccare i cuori, anche dopo la morte

Il purgatorio, conferenza in occasione del pellegrinaggio dell’Ascensione a Notre-Dame di Montligeon del 26 maggio 2022 da parte di Mons. Celestino Migliore – Nunzio Apostolico

Testo integrale della conferenza di Mons. Celestino Migliore.

Sono contento di potermi intrattenere con i fedeli della parrocchia e i pellegrini partecipanti al pellegrinaggio del Cielo, giunti a pregare la Madonna Liberatrice delle anime del purgatorio.

Come dicevo durante l’omelia della messa, mi stupisco di questa sete di verticalità dei cristiani successiva a questi periodi di crisi. Il vostro grande pellegrinaggio del Cielo per l’Ascensione ne dona una grande testimonianza. Il bisogno di preghiera, di liturgia, di adorazione, così come la sete di insegnamenti e di formazione non sono mai stati cos importanti. Voi pellegrini date alla società umana la chiave per l’avvenire attraverso la vostra sete di un Dio celebrato, annunciato e che irradia attravarso la Parola di Dio messa in pratica.

Noi abbiamo pregato e continuiamo a pregare la Madonna Liberatrice delle anime del purgatorio.

Voi avete già sentito spesso parlare del purgatorio. Ma è buona cosa rivedere alcuni punti di questa realtà di cui oggi non si parla quasi più.

Già undici anni fa, durante una udienza generale del mercoledì, Papa Benedetto XVI ha spiegato cos’è il purgatorio ispirandosi al pensiero e alla vita di Santa Caterina di Genova.

Caterina è stata una mistica ed una veggente italianaa, che si è resa celebre attraverso le sue opere di misericordia verso i poveri e i malati. E’ stata proclamata santa circa trecento anni fa, ed in quanto autrice del Trattato del purgatorio, è anche nota con il titolo di Dottore del purgatorio.

Nella seconda metà del XV secolo, l’epoca di Caterina di Genova, il purgatorio era considerato come luogo di purificazione dell’anima, purificazione esigente e dolorosa, prima di entrare in paradiso.

Che il purgatorio sia un luogo fisico è convinzione assai antica, fino ad epoca recente.

Per Caterina, non era così. Ella ha descritto il purgatorio non come fuoco esteriore in un luogo fisico sito nelle profondità della terra, bensì come un fuoco interiore, una fiamma di Dio che brucia all’interno dell’anima, necessaria a purificarla al fine di consentirle un giorno la visione beatifica in paradiso. Immersa in questo amore, l’anima vive questo periodo transitorio in uno stato di sofferenza vigile e cosciente.

Papa Benedetto XVI le ha dato pienamente ragione.

Alcuni media hanno ripreso questa catechesi del papa considerandola una buona novella. Come se il papa avesse parlato non dell’interiorità del purgatorio, ma ne avesse dichiarato la sparizione, come se non fosse mai esistito. Una sparizione che è già effettiva in gran misura nella predicazione corrente della Chiesa, da vari decenni ormai.

Ma l’insegnamento di Benedetto XVI ha detto esattamente il contrario. Non la sparizione del purgatorio, bensì la sua vera realtà.

E’ importante notare che Caterina, nella sua esperienza mistica, non ha mai avuto rivelazioni specifiche sul purgatorio o sulle anime in stato di purificazione. Tuttavia, nei suoi scritti, è un elemento centrale, e il modo di descriverlo ha delle caratteristiche originali in rapporto alla sua epoca.

Il primo tratto originale concerne il « luogo » della purificazione delle anime. Alla sua epoca, lo si rappresentava principalmente attraverso immagini legate allo spazio; si pensava che il purgatorio si situasse in un certo luogo. In Caterina, al contrario, il purgatorio non è presente come elemento del paesaggio nel ventre della terra: non è un fuoco esteriore, bensì interiore.

Il purgatorio è un fuoco interiore. La santa parla del cammino di purificazione dell’anima verso la piena comunione con Dio, partendo dalla propria esperienza di profonda sofferenza per i peccati commessi, in rapporto all’amore infinito di Dio.

Noi dobbiamo sapere che Caterina, come tutti i santi e le sante, non è nata santa. Dopo una vita spensierata, lo è diventata convertendosi. Veniva da una famiglia nobile e, come si usava a quel tempo, la famiglia ka costrinse a sposarsi con un nobile per accrescere la potenza e la richezza familiare. La coppia, che non ebbe figli, ha vissuto una vita spensierata e mondana durante i primi dieci anni. Fino a che Caterina visse una conversione religiosa, sostenuta da una visione mistica. Suo marito si convertì subito dopo. Tutti e due cambiarono completamente vita. Andarono a vivere in una casa modesta a fianco di un ospedale e il marito entrò nel Terz’ordine francescano. La vita mistica di Caterina è stata molto intensa, ma accanto alla sua vita spirituale ella viveva una importante attività di servizio presso i poveri e i malati.

Una conversione, quindi. Caterina sente improvvisamente la bontà di Dio, la distanza infinita tra la propria vita e questa bontà, ed un fuoco che le bruciava dentro. Questo fuoco è purificatore, è il fuoco interiore del purgatorio.

Ecco un altro tratto originale rispetto al pensiero dell’epoca. Ella non parte dall’al di là per raccontare i tormenti del purgatorio- come era d’uso all’epoca e forse ancora oggi – per poi indicare la via da seguire per essere purificati e convertirsi. Al contrario, la nostra santa parte dalla propria esperienza interiore di vita in cammino verso l’eternità.

L’anima – dice Caterina – si presenta davanti a Dio ancora legata dai desideri e dal dolore che provengono dal peccato, e questo le impedisce di godere della visione beatifica di Dio. Caterina afferma che Dio è così puro e santo che l’anima segnata dal peccato non riesce a sopportarne la presenza.

Anche noi sentiamo quanto siamo lontani, ripieni di tante cose, che ci impediscono di vedere Dio. L’anima è cosciente del grande amore e della giustizia di Dio e, i conseguenza, soffre di non averGli risposto in modo giusto e generoso. E’ giustamente l’amore stesso verso Dio che diviene una fiamma. L’amore stesso la purifica dalle scorie del peccato.

In Caterina ritroviamo la presenza delle fonti teologiche e mistiche cui era normale ispirarsi alla sua epoca. In particolare, l’immagine del filo d’oro che lega il cuore dell’uomo a Dio stesso. Quando Dio ha purificato l’uomo, lo lega a sé con un filo d’oro sottile che è il suo amore, e l’attira in modo così forte che l’uomo resta per così dire « sopraffatto e sconfitto e tutto fuori di lui ». Così, il cuore dell’uomo è invaso dall’amore di Dio, che diventa l’unica guida, l’unico motore della sua esistenza.

Questa situazione di elevazione verso Dio e di abbandono alla sua volontà, espressa nell’immagine del filo, è utilizzata da Caterina per esprimere l’azione della luce divina sulle anime del purgatorio, luce che le purifica e le solleva verso gli splendori dei raggi brillanti di Dio.

Attraverso la loro esperienza di unione a Dio, i santi acquisiscono una conoscenza così profonda del misteri divini, in cui amore e conoscenza si nescolano strettamente, che aiutano i teologi nei loro studi, nella loro intelligenza e comprensione della fede, nella loro intelligenza dei misteri della fede, nell’approfondimento reale dei misteri, come ad esempio la questione del purgatorio.

Oggi certi teologi ritengono che il fuoco che brucia e al tempo stesso salva sia il Crito stesso, Giudice e Salvatore. L’incontro con lui è l’atto decisino del Giudizio. Dinanzi al suo sguardo, qualsiasi menzogna viene meno. E’ l’incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e libera affinché diventiamo veramente noi stessi. Quello che si costruisce durante la vita può allora rivelarsi paglia secca, nuota vanteria, e crollare. Ma la salvezza è nella sofferenza di questo incontro, in cui l’impuro e il malsano del nostro essere diventano evidenti. Il suo sguardo, il contatto col suo cuore ci guariscono attraverso una trasformazione certamente dolorosa « come attraverso il fuoco ».

Il modo in cui viviamo non è senza importanza, ma la nostra sporcizia, i nostri peccati non ci contaminano eternamente, se almeno siamo rimasti attaccati a Cristo, alla verità e all’amore. In fin dei conti, questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di Cristo. Al momento del Giudizio, quando ci presentiamo dinanzi al Signore, sperimentiamo e accogliamo questo primato dell’amore su tutto il male presente nel mondo e in noi. La sofferenza dell’amore diviene la nostra salvezza e la nostra gioia.

E’ chiaro che non possiamo misurare la durata di questa trasformazione con dei cronometri. Il tempo di trasformazione di questo incontro sfugge al cronometro terrestre; è il tempo del cuore, il tempo del passaggio alla comunione con Dio nel Corpo di Cristo.

Adesso giungiamo al senso e all’importanza del vostro pellegrinaggio del Cielo, della preghiera che eleviamo alla Madonna Liberatrice delle anime del purgatorio.

Già nel giudaismo antico, si considerava di poter venire i aiuto ai defunti nella loro condizione intermedia attraverso la preghiera. Basti pensare al lilbro dei Maccabei nella Bibbia. La preghiera, le buone opere e l’elemosina ai poveri per la salvezza delle anime dei defunti sono state adottate con molta naturalezza e fanno parte della tradizione di tutta la chiesa.

Attraverso l’Eucaristia la preghiera e l’elemosina possiamo portare « ristoro e freschezza » alle anime dei defunti. Che l’amore possa raggiungere l’al di là, che sia possibile donare e ricevere reciprocamente, che restiamo legati gli uni agli altri dai legami dell’affetto oltre i confini della morte, è convinzione fondamentale della cristianità attraverso i secoli e resta tuttora una esperienza riconfortante.

Chi non proverebbe il bisogno di apportare ai nostri cari già partiti per l’al di là un segno di bontà, di gratitudine e anche una richiesta di perdono?

Potremmo domandarci: se il purgatorio consiste semplicemente nell’essere purificati dal fuoco nell’incontro con il Signore, Giudice e Salvatore, allora come può una terza persona intervenire attraverso la preghiera e il sacrificio? Quando ci poniamo questa domanda dobbiamo renderci conto che nessuna persona è chiusa in se stessa, è independete dalle altre. Nessuno vive solo. Nessuno pecca solo. Nessuno si salva da solo. La vita degli altri interviene continuamente nella mia: in quel che penso, dico, faccio, in come agisco. E viceversa, la mia vita interviene in quella degli altri: nel male come nel bene.

Così, intercedere per l’altro non gli è estraneo, esteriore, neanche dopo la morte. Nell’intreccio degli esseri, il mio rendimento di grazie, la mia preghiera per lui può contribuire a una piccola tappa della sua purificazione. Non c’è bisogno di convertire il tempo terreno nel tempo di Dio: nella comunione delle anime si supera il tempo semplice terreno. Non è mai troppo tardi per toccare il cuore dell’altro e non è mai inutile.

Ecco perché diciamo che la Madonna Liberatrice tocca i cuori anche dopo la morte.

Questo è un elemento importante nel concetto cristiano di speranza. La nostra speranza è sempre essenzialmente speranza anche per gli altri; soltanto così, essa è veramente speranza per me. Come cristiani non dovremmo mai domandarci soltanto: come posso salvarmi? Dovremmo dire anche: che cosa osso fare per salvare gli altri e perché anche per loro brilli la stella della speranza? Allora avrò fatto il massimo anche per la mia salvezza personale.

Ho incominciato citando una catechesi di papa Benedetto XVI e vorrei terminare dicendo che Papa Benedetto XVI ha scritto le pagine più forti sul purgatorio nell’enciclica « Spe salvi ». E’ l’enciclica più personale delle tre che egli ha pubblicato, la sola che abbia scritto di propria mano, dal primo all’ultimo rigo. Se volete saperne di più, vi consiglierei di leggerla, soprattutto i paragrafi da 44 a 48.

Da leggere anche: l’omelia di Mons. Celestino Migliori

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